La ricerca della quiete – Leptons

Risalgono le nere acque i Leptoni, puntando alla cima infuocata del Grande Vulcano. Una lenta e silenziosa carovana sale verso le sue pendici, in sentieri aridi e tortuosi, rassicurati che la pioggia di fuoco non li sfiorerà. Ma perché i Leptoni dovrebbero salire verso il Grande Vulcano? Un sacrificio di massa? Una via per la Redenzione? Spesso la Salvezza passa a pochi centimetri dalla Morte; i Leptoni non si immoleranno come martiri, la loro ambizione è un’altra. Oltre il Grande Vulcano, ove il cielo perde il suo rossore e torna di un celeste terso. Potrebbe essere una feconda landa di atavica memoria, quella che i Leptoni cercano senza decifrarne con certezza le coordinate, ed anche senza mappe o disegni la sapranno riconoscere come loro. Dopotutto, non è neanche importante per quanto dovranno migrare, poiché la Conoscenza sta nel cammino e nel suo ritmato indugiare.

Il meraviglioso art-work di Gabriele Brombin conduce la mente a viaggiare di fantasia, eppure la sua è un’importante funzione introduttiva a questo terzo disco di Leptons, La ricerca della quiete. Il progetto artistico di Lorenzo Monni in questo episodio travalica ogni tentativo precedente, suggellando una visione musicale personalissima ed allo stesso tempo molto affinata nel tempo. È un disco che parte da lontano sia nella sua componente tematica -la migrazione dei Leptoni, parafrasi di un’umanità che vuole svincolarsi da “certi” schemi-, sia nella sua evoluzione musicale, creando alcuni parallelismi con la realtà quotidiana, ma senza rimanerne assillato. La ricerca della quiete è un lavoro libero e molto audace, scioccante in alcune scelte stilistiche, senza il fardello del dover raccontare a tutti i costi una storia lineare, superando l’idea del concept progressivo ad almeno cinquant’anni dalla sua prima comparsa. A coadiuvare Lorenzo Monni nella lunga e complessa realizzazione di questo disco, c’è Andrea Liuzza di Beautiful Losers, che ha curato con grande attenzione la parte ritmica, realizzando in alcuni casi dei veri e propri “azzardi” ma con una incredibile amalgama armonica.

Le radici prog sono innegabili e non solo per la passione (o forse dovrei ipotizzare amore incondizionato) di Lorenzo Monni per Robert Fripp, ma la cosa che più mi è balzata all’orecchio è l’effetto sorpresa che La ricerca della quiete vuole evidenziare, uno shock ambizioso e consapevole, come probabilmente fu all’epoca il rock progressivo nelle sue prime affermazioni. Un suonare “strano” rispetto alle dinamiche di cui siamo abituati, che mescola un’elettronica pulsante su battiti tribali, agglomerati di chitarre ben schierate ed ugole ululanti da contenere e placare. Allontanarsi dalla comfort-zone, per esplorare territori aspri e irti, un po’ come il cammino dei Leptoni, alla ricerca di un qualcosa di non perfettamente delineato, ma che quando sarà dinanzi agli occhi sarà subito riconoscibile ed accettato. Per tale ragione, al primissimo ascolto, mi è arrivata come una correspondences baudelairiana, una succinta impressione ad un piccolo e misconosciuto capolavoro del prog italiano: MU (1972) di Riccardo Cocciante. Se il parallelismo può apparire forse impreciso ed incongruo, è da annotare come l’ambizioso MU fosse un concept dalla spiccata componente fisolofico-sociale, il cui tema centrale ruotava su questo continente “perduto” (MU, appunto) e sulle ambizioni della tribù che lo abitava. Un mezzo usato dal cantautore per sottolineare le storture della società sua contemporanea, che ad esempio in La ricerca della quiete di Leptons è molto più sfumata, tendendo più ad un punto vista personale e relativo, che non ad un assolutismo verso la cultura odierna. Siamo su un livello di impressione indefinita, nulla più, un qualcosa che mi è arrivato, complice forse anche quel “tribalismo” ritmico di cui si alimentano (con dosi ed efficace diverse) i due lavori; rimane tuttavia la concitazione di avere dinanzi un disco che rompe gli schemi con l’attualità.

Ma veniamo ai contenuti: i primi rintocchi di string che man a mano si accavallano in Canto di Lavoro, svelano nel routinario e soggettivo tragitto casa-lavoro un parallelo diverso e contrario al lento viaggio dei Leptoni, eppure l’enfasi del coro che viene più volte citato nel testo, contiene tracce di un tribalismo provienente da un “other side” fatato ed endemico, ripreso successivamente (tra vampe sulfuree, quasi irascibili, alla Fausto Rossi) nel mood di Una lunga vacanza. In nuce, una pungente critica sociale all’uomo del ventunesimo secolo e ai suoi “rituali” consumistici, accanto a potenti squarci d’immaginazione, scatti sfocati di un mondo diversamente sostenibile. Agile e non invasivo giace anche il tema ecologista e della salvaguardia del pianeta, facendo un po’ da contraltare alla deriva morale di un capitalismo “tecnologico” della sorveglianza. Di tutt’altra grana, lo spleen de Le parole scorrono, il cui stile asciutto e melenso si allaccia bene a quelle dinamiche sentimentali che risentono della cupidigia di cui sono immersi i nostri tempi; mentre il funky pagano di Great Escape lo si era già apprezzato nella compilation Pipapop Vol. 2, ma contestualizzato nella grammatica di un disco, assume connotati più rotondi, quasi tendenti ad uno spiritual da chiesa sconsacrata. Un altro tassello fondamentale è rappresentato da Il coraggio o la paura, dall’umore blue, in una pulizia sonora di chitarra che sembra funzionare come spartiacque all’interno della tracklist; spianando la strada per il capolavoro del disco: Diario di un vulcano. Una martellante danza primitiva affogata nell’elettronica (splendido lavoro di Andrea Liuzza) in cui emergono synth traslucidi e chitarre furoreggianti tra funk e rock, in una sorta di opera prog esasperata dall’interpretazione allucinata di Leptons.

Nel gioco ed incastro di stili, voci e lingue (a tratti parvenze di glossolalia) il disco levita tra i sibili di fiati (curati da Giuseppe Dal Bianco) in Così Lontani, suggellando la visione di una terra che esiste e vive solo tra i sogni, la meta ideale ed idealizzata per qualsiasi viaggiatore -Leptone compreso-, reiterando il concetto (e proseguendo nella sottile critica sociale) ne Il Lago delle favole, una sorta di mantra le cui endorfine si fondono con l’irrequietezza del desiderio. In tutto questo caos organizzato, la componente folkloristica non poteva esimersi dal manifestarsi come segno delle radici, della memoria, di quel “da dove siamo partiti” fondamentale per comprendere meglio la fatica della meta finale; ecco che nella traccia finale da balera, Trilli, la malinconia per un mondo forse antico, sicuramente più semplice nelle azioni e nei sentimenti, risale la gola e si ferma lì, come l’agrodolce magone dei ricordi. Sagacia compresa.

È facilmente comprensibile come La ricerca della quiete sia stato un lavoro pluriennale, complesso e stratificato, in cui non solo Lorenzo Monni (titolare del progetto Leptons) e Andrea Liuzza (che l’ha prodotto per Beautiful Losers) hanno speso intuizioni e geniali sforzi, ma che è stato possibile anche grazie ai contributi di Luca Visentin (percussioni), Davide Doretto (synth), Giuseppe Dal Bianco (fiati) e Alessandro Grasso (mastering). Un lavoro corale, immagino molto intenso, la cui resa è spettacolare per approccio e metodica, per spessore artistico e volontà di superare i vincoli morali del presente. Ma soprattutto la necessità di raccontare una storia ed una passione del tutto personale; raccogliere tutte le energie, le connessioni, i rimandi, svuotare la mente e buttare tutto fuori. La ricerca della quiete non può lasciare indifferenti, scuote qualcosa dentro, e quando la musica riesce -ancora- a fare questo, allora vuol dire che il cammino intrapreso è quello giusto. I Leptoni lo sanno.

Leptons facebook
Leptons bandcamp

Beautiful Losers sito ufficiale

recensito da Poisonheart

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