I Want to Grow up – Colleen Green

Colleen Green fa parte di quella generazione, tutta al femminile, che sta riscrivendo il concetto di musica indipendente americana, partendo da quella solita base di punk newyokese scuola C.B.G.B.’s, che peraltro non ha nemmeno avuto la fortuna di vivere. Giri melodici di chitarra, un sentimentalismo spiccio ma anche cinico, ritmi bubblegum onnipresenti sono gli ingredienti fondamentali della musica della giovane artista californiana, che prende idealmente il punk ballabile dei Ramones e ne riscrive i contorni più grotteschi e forse fatalmente innocenti.

I Want to Grow up è anche molto di più, ma soprattutto è la voglia insolente di crescere e maturare (“Cause I’m sick of being immature / I want to be responsible“), abbandonando lo stereotipo maschile dell’eterno Peter Pan, e rigurgitando con classe e buone maniere un femminismo cocciuto ed impaziente, ma anche tanto solare e passionale (che non disdegna il rosa) e che ha poco da sparire con la sovversione acida riot-grrrl.
Come per Milo Goes to Compton (2011), l’ispirazione viene dal punk dei Descendents (ma anche da Joey Ramone ed il suo Don’t worry about me, vedasi la cover-art e lo stile bubblegum) e l’approccio al disco sembra più leggero e coeso, grazie anche al basso di Jake Orrall e alla batteria di Casey Weissbuch, che limano le mancanze e le difficoltà di una Colleen Green comunque in stato di grazia sia a livello compositivo, che in fase di stesura dei testi. L’apporto di questi eccellenti turnisti, solidifica un pop frizzante, avventuriero e tratti sbarazzino, e fa sospirare di vittoria Colleen Green che si lascia andare ad un soddisfatto: “I’ve definitely achieved the sound that I wanted!“.
Il power-chord aperto della sei corde ed il crunch compatto di fondo, regalano ritmi ballabili, assimilabili a dei Ramones dream-pop; eppure se nei precedenti lavori la ricercatezza armonica latitava a favore di un sound diretto ed immediato, in I Want to Grow up la maturità di Colleen Green prende forma, toccando anche apici di songwriting insospettabili agli esordi.

Colleen Green - I want to grow upLa title-track è quindi un inno anti-adolescenziale, nel quale noia, indecisione, alienazione e teenage angst, vengono riscritte a fronte di una voglia di crescere impellente per potersi lasciare tutto questo alle spalle, chiudendo con un “I want to be old” tanto strano da cantare, ma proprio per questo efficace. La pasta melodica si concede power-chords gracchianti ed abbastanza lineari e prevedibili, che ben si sposano con il ritmo bubblegum di fondo: Wild One è il racconto di un fresco amore, così selvaggio e pazzo da doverlo lasciare obbligatoriamente andare.
Se tutto ciò sembra in controtendenza emozionale verso i concetti di amore e libertà che solitamente troviamo in altri artisti, in TV Colleen Green nostalgicamente ricorda come la scatola colorata sia stata la sua unica compagna in un adolescenza piuttosto solitaria, sovvertendo così ogni regola materialista e consumista. Lei, classe 1984, troppo giovane per aver toccato con mano il grunge, ha vissuto la generazione pop di Mtv, ma non per questo ne sembra essere stata irrimediabilmente condizionata; i suoi temi si scontrano così con una norma che idealizza sempre troppo (ed in maniera banale) le emozioni forti come l’amore e la libertà d’essere: Colleen Green riporta tutto ad un livello più pratico e molto più riflessivo, specie nella seconda parte del disco.

Deeper than Love è certamente il brano che si estrania musicalmente in maniera più evidente dal resto del disco, suoni più cupi ed ovattati scivolano via ambiguamente, con una batteria costante e fredda che ne traccia la via, mentre Colleen Green canta un brano la cui gestazione è stata molto difficoltosa ed impegnativa, ma che alla fine ha trovato la forza per imporre la sua stralunata energia. “And I’m wondering if I’m even the marrying kind / How can I give you my life when I know you’re just gonna die?” è una domanda spontanea fatta non per frenare l’istinto d’amore, ma per proteggere quello che di buono può esserci in una relazione. La claustrofobia del brano e la sua andatura riflessiva, lo rendono quasi androgino in un finale a tratti spietato, ma fondamentalmente dai propositi nobili: “Further than fantasy, deeper than love could ever be“.

Interessanti le due parti di cui si compone Things that are bad for me, la prima decisamente frizzante con il solito accento punk-pop, mentre assume contorni più tenebrosi il reprise con tanto di lungo e ruvido assolo finale. Grind my Teeth apparentemente si presenta con dinamiche veloci e bubblegum, per poi rallentare inaspettatamente dopo il primo chorus, facendosi di colpo crepuscolare, mentre una chitarra ruggente trattiene il fiato ed echi synth ne colorano con sorpresa gli ultimi istanti, prima di riprendere il ritornello con ritrovato smalto ed energia.
I Want to Grow up è sicuramente un album pieno di sorprese, che vanno un po’ a destabilizzare l’idea di un punk morbido ed orecchiabile, Colleen Green mantiene saldo un sound independent, ma lo arricchisce di melodia e di arrangiamenti particolari, vedasi la finale Whatever I want delicata quanto inaspettata, costruendo così un disco apparentemente facile da ascoltare, ma disseminato di riflessioni e pensieri che pretendono un pizzico di attenzione, in quella loro bellezza così responsabile ed allo stesso tempo così ingenua.

 

recensito da RamonaRamone
M_Ramona Ramone

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