I cinquant’anni di Sgt Pepper: miti e fantasie da sfatare!

Il 1° giugno del 1967 usciva il disco che avrebbe cambiato per sempre la storia della musica moderna: Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (leggi qui). Si è scritto e parlato moltissimo su questo lp sicuramente rivoluzionario nel corso dei cinquant’anni appena trascorsi, in molti casi esagerando sull’importanza e sul significato del più sperimentale (e forse ispirato!) lavoro dei Beatles.
Da quando mi sono affacciato all’universo della musica, non ho mai accettato in toto le dicerie e le mitizzazioni, preferendo arrivare alla soluzione ed alla critica per conto mio, piuttosto che attraverso considerazioni altrui. Per questa ragione ho sempre trovato Sgt Pepper troppo idolatrato e cosparso di qualsiasi lode, nonostante abbia cercato di ascoltarlo a più riprese, in momenti e formati diversi.
E’ stato definito quasi all’unanimità il primo concept-album della storia moderna, quello dalla copertina rivoluzionaria, un disco registrato con le più moderne tecniche di produzione esistenti, un lavoro corale incentrato sull’esaltazione della controcultura, dal culto delle droghe (Lucy in Sky with Diamonds o Fixing a Hole) al lato spirituale piuttosto prominente (Within you, Without you), passando per i vari messaggi subliminali della cover-art sulla presunta morte di Paul McCartney (A Day in the Life). Se alcune di queste definizioni o impressioni possono essere corrette, altre sicuramente fanno sorridere, ma almeno due (ovvero le più importanti a mio modo di vedere) non hanno mai saziato la mia curiosità e la mia voglia di saperne di più. Dopo anni -e qualche lettura azzeccata- sono arrivato alla conclusione che: Sgt Pepper non è un concept album e soprattutto che non è stato rivoluzionario nelle tecniche di registrazione. Tuttavia prima di costringermi all’abiura, è giusto motivare il rifiuto di questi due assiomi musicali.

Sgt PepperLeggendo le memorie di George Martin riguardo la registrazione e produzione di Sgt Pepper, mi sono fatto un’idea ben precisa, che guarda caso non si discosta molto dalle parole del suo maggiore estimatore ed ideatore. Il 29 agosto del 1966 a San Francisco andò in scena l’ultimo concerto dei Beatles, che decisero alla fine della tournée americana di dire basta (per sempre!) ai concerti: una scelta inconcepibile per l’epoca (anche oggi, probabilmente) specie se si considera che i tour erano l’unica fonte di introiti importanti e che i dischi finora erano considerati solo una raccolta di singoli e di canzoni registrate in fretta e furia prima di ripartire a suonare dal vivo. La motivazione di tale scelta va ricercata nello “sfruttamento” compiuto da Brian Epstein che sin dal 1962 aveva visto i Fab Four girare per il mondo e diventare quella macchina musicale perfetta; un’attività concertistica frenetica che costringeva i Beatles alla reclusione dalla vita normale: dagli a odiosi meeting con la stampa, nel quale spesso l’ilarità endemica della band veniva mal interpretata (“I Beatles sono più famosi di Gesù“) ai live veri e propri, ove le grida dei fans erano talmente insistenti che i quattro non riuscivano nemmeno a sentirsi tra di loro, peggiorando di conseguenza la performance.

Eliminate le tournée di promozione rimanevano tempo, energie ed entusiasmo a sufficienza per rinchiudersi cinque mesi in uno studio e registrare con calma un disco. Un grande vantaggio e sicuramente uno dei fattori del successo di Sgt Pepper, a cui va aggiungersi una vena creativa finalmente depurata da qualunque stress e da un produttore (George Martin, appunto) che assecondava e soprattutto organizzava ogni richiesta dei Beatles. I primi frutti di questo nuovo approccio si poterono già apprezzare nel doppio singolo Strawberry Fields Forever / Penny Lane, uscito per esigenze commerciali prima di Sgt Pepper e per questa ragione non rientrabile nella tracklist del disco. Tuttavia la vera svolta avvenne durante le sessions di A Day in the Life, seconda traccia registrata negli Abbey Road Studios: si narra che la parte iniziale al piano venne scritta da Lennon, mentre un’altra -però in tonalità diversa- fu scritta da McCartney, non potendo essere legare le due parti, vennero lasciate libere -le “famigerate”- 24 battute di A Day in the Life, a cui successivamente venne inserito un intramezzo orchestrale partendo dalla nota più bassa suonata da ciascun componente della banda sinfonica arrivando a quella più alta. Questo insolito ed originale espediente fa parte di molti altri usati da George Martin e dall’inseparabile tecnico del suono Geoff Emerick; nello stesso brano si ricordano: il MI maggiore suonato da tre pianoforti all’unisono in chiusura del pezzo; l’acuto suono sveglia in apertura del primo verso di McCartney «Woke up, fell out of bed» e per finire il fraseggio sconnesso di voci ed urla che nei giradischi analogici avrebbe suonato ininterrottamente in loop.
Un modus operandi, nato dall’esigenza di sperimentare dei Beatles e dalla praticità metodica di George Martin, che ha permesso di realizzare registrazioni superbe ed eccentriche come in Being for the Benefit Mr. Kite! e quel collage di pezzi di nastro di calliope (provenienti da marce militari dell’archivio degli studios), o all’utilizzo dell’organo Lowrey (più piccolo rispetto all’utilizzatissimo Hammond) ed alla sua particolare regolazione del decay in Lucy in the Sky with Diamonds, oltre a moltissimi altri accorgimenti tecnici dettati dall’esperienza e dall’inventiva di George Martin.
Poiché, sfatando così il mito, gli Abbey Road Studios non erano poi così all’avanguardia come strumentazione (ricordando che Sgt Pepper venne registrato interamente su quattro tracce), bensì è il contributo dei tecnici e dello stesso Martin che risultò determinante nel tradurre in musica le intuizioni o le fantasie dei Beatles. Tecniche nuove utilizzate per la prima volta risultarono subito convincenti, soprattutto perché semplici e dirette; a George Martin infatti premeva “organizzare la sperimentazione” in atto nei Fab Four, consigliando e scartando le soluzioni troppo eccentriche che specialmente Lennon proponeva (cosa che non accade ad esempio nel successivo e caotico Magical Mistery Tour). Senza dimenticare che non vi era l’esigenza di portare Sgt Pepper in tour, quindi non ci si poneva nemmeno il problema se l’album fosse riproducibile dal vivo, potendo così calcare la mano con soluzioni da studio, attenuando parzialmente l’artificio -che forse non sarebbe piaciuto a tutti- inserendo un effetto “dal vivo” sia nell’omonima traccia iniziale che nel reprise. 

Sgt Pepper - BeatlesSe i brani firmati da Lennon rappresentano la punta eccentrica del disco, i brani di McCartney rimarcano quel candore da ballata pop ballabile in cui il contributo orchestrale era lineare ed imprescindibile (She’s Leaving Home o Fixing a Hole su tutte), mentre l’interminabile nenia di sitar in Within you, Without you di George Harrison rimane un episodio spaiato, a cui Martin ha dovuto forzatamente trovare posto in apertura del lato B del disco. Nello stilare la tracklist di Sgt Pepper, il produttore si è reso lucidamente conto dell’estrema diversità dei brani, tanto da avere perplessità su alcune scelte, virando alla fine sulla soluzione di mettere i migliori brani sul lato A, per un inizio che lasciasse il segno, e poi via via tutti gli altri, regalando il botto finale nell’ultima traccia del lato, ovviamente con A Day in the Life. Si evince che non vi è stata stesura corale dei brani, anzi in alcuni, McCartney lavorava autonomamente da casa e poi presentava in studio la canzone quasi ultimata; non vi è nemmeno un unico filo conduttore tematico, se non l’atmosfera completamente libera su cui aleggiavano le idee dei Fab Four. Perciò Sgt Pepper non è da definirsi un concept album a livello tematico, piuttosto lo si può  considerare concept “solo” a livello di realizzazione e registrazione, mosso dall’idea comune di sperimentare liberamente.

Omaggio alla controcultura o semplice bizzarria, la cover-art (con in testi sul retro, novità assoluta!) è certamente la ciliegina sulla torta per un disco azzeccato in tutti i suoi punti. Le frequentazioni di McCartney con il mondo dell’arte lo portarono -su consiglio del gallerista Robert Fraser- a commissionare la copertina a Peter Black (uno dei massimi esponenti della Pop Art inglese) e a Jann Haworth entrambi interessati alla tecnica del collage. Il fatto di collocare così tanti personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo (dettata dal fatto che la Lonely Hearts Club Band doveva essere presentata in una piazza fiorita dal sindaco e da una folla festante), rappresentò un serio problema nello sfruttamento dei diritti d’immagine, risolto scrivendo individualmente ad ogni singolo personaggio chiedendone il permesso. Quindi quella di Sgt Pepper non è solo uno dei primi esempi di copertina divenuta arte, ma indica anche un certo lavoro concettuale e di elaborazione non dissimile a quello impiegato per produrre e registrare un brano: George Martin fu entusiasta dell’idea, egli stesso considerava la copertina come biglietto da visita per l’ascoltatore prima dell’acquisto, ragionevolmente doveva essere importante e catturare l’attenzione tanto quanto la musica.

In conclusione, è verissimo che Sgt Pepper ha rappresentato una nuova concezione di ascoltare e realizzare musica, dimostrando che era possibile sperimentare senza snaturare l’indole naturale di una band. Fondamentale esempio di “creatività organizzata”, il disco suggella il miglior momento nella carriera dei Beatles, ma evidenzia anche i primi scricchiolii all’interno di essa, specie dopo l’improvvisa morte del manager Brian Epstein nell’agosto del 1967.
Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band non è un concept album e deve la propria fortuna sicuramente alla capacità di George Martin e dello staff di Abbey Road di tradurre in realtà i desideri dei Fab Four, facendoli desistere alla follia di quel sperimentare fine a se stesso ed incanalando il flusso di creatività verso delle sessions piuttosto organizzate seppur prolungate nel tempo. Quindi, sì stiamo parlando di un album epocale, per il suo valore sociale ed ideale, che ha “inaugurato” una stagione particolarmente fertile e creativa per la musica pop e rock … droghe permettendo!

La Firma: Poisonheart

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