H. – Enrico Belli

Solo perchè ad un musicista piace particolarmente il genio di Tiersen, non significa che debba sacrificarsi in un disco da ascoltare con i guanti di velluto, libido per quegl’ intellettualoidi di buona famiglia a cui piacciono le fregnacce letterarie e i reading elitari. Macchè!!! Enrico Belli ha le giuste capacità artistiche per concedersi ad un pubblico più sveglio e meno infatuato dall’arte bella e sostanzialmente inutile. Sensibilità, manierismo, grande passione sviscerata in arie dalla carica drammatica e spettrale.

H. è l’album strumentale, e chi non se ne intende lo definirebbe un lavoro classico o da camera, in realtà c’è una buona dose di sperimentazione che supera di gran lunga l’emulazione delle influenze di Belli, dal già citato Tiersen, a Philip Glass (ascoltare per credere l’eterea confusa Metamorfosi) passando per qualche capolavoro d’armonie prestato (per non dire usurpato!) al cinema. Lo stile: minimale in primis. Un disco asciutto, senza preamboli o ghirigori per riempire gli spazi vuoti, nel quale l’atto del “suonare” con le proprie mani si fonde con un passaggio obbligato per il tunnel della tecnologia digitale, tuttavia senza snaturare gli sforzi dell’artista. Un assemble che è materia vivente, che respira e parla una lingua asciutta, credibile: non aspettatevi ibridi deformi da club-house o trip-party … qui non si scherza! Una mielina urbana dagli accenti grossi e marcati, dalla parvenza tenebrosa ispirata ad un tardo romanticismo aggiornato de L’uomo di vetro si lascia cadere alla ballata zingaresca e tarantolata de La banda degli innocenti. Il contrasto cromatico è impressionante e imprescindibile nella musica di Belli, si prenda come esempio Di Rincorsa, nel quale i toni grevi del piano vengono mitigati dall’armonia passiva degli archi, svuotando e riempiendo di continuo il recipiente delle emozioni. Uno schema riproposto spesso lungo il disco, la dinamica dei toni cresce e cala, s’intensifica e sbiadisce in un continuo scontro emozionale che lascia l’ascoltatore soddisfatto, almeno parlo per me! Un saliscendi che tiene ancorati alla cuffia dunque, ne prende l’attenzione, la scruta e poi la rimastica restituendo endorfine preziose.

Episodio pilota di particolare enfasi in La danza di Taniec nel quale la tensione emotiva del primo capitolo viene ribaltata nella seconda, con ritmi slacciati, sghembi che lasciano senza fiato. Un richiamo alle atmosfere dell’est, suoni aperti come steppe, pause nebbiose e meditative, in un puzzle armonico  fatto di pochi pezzi ma ben allineati.
L’indispensabile ed il minimo può essere considerato il testamento al rovescio del minimalismo di Enrico Belli, un modus operandi al piano che non disdegna la fantasia e la tensione di archi ben affilati per colpire e sorprendere al momento giusto: finale pirotecnico ed inaspettato da gustare!
Chiude i giochi H. nella sua ripetitiva litania amputata, un congedo semplice, senza troppi fronzoli: un bel modo per rimarcare un minimalismo che viene soprattutto dal cuore!

 Enrico Belli myspace

recensito da Gus
 

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