Only Child – Grand Drifter

Se nel novembre 2021 avessi avuto il tempismo di ascoltare il nuovo disco di Grand Drifter (Andrea Calvo) fresco di uscita, questo avrebbe probabilmente influito sulle mie scelte nello spiccio giochino -utile per scacciare i cattivi pensieri e tenere allenata la mente- delle personali classiche di fine anno.
Eppure, nulla avviene per caso e nel cuore dell’inverno che non svela ancora i timidi tentativi di un’insicura primavera, Only Child si manifesta con l’umore a me più congeniale, mescolando melanconia, disillusione, spinte d’entusiasmo, ataviche riflessioni.
Sublime questo secondo lavoro di Andrea Calvo, che si evolve in 10 brani che lasciano sotto la lingua il languido sapore come se dovessimo  prepararci ad un addio, a lasciar andare per sempre qualcosa: sentimenti, impressioni, ossessioni (ascoltare come Bookends ti apre in due, ad esempio). Sullo sfondo un flusso di cambiamenti ancora sfocati, ancora in penombra; alle spalle uno stato dell’arte da immortalare in qualche modo, come anticipato nel singolo Haunted Life
Il figlio unico di Grand Drifter è un uomo abituato a flirtare con la solitudine; un figlio unico che rivive l’infanzia con dolcezza, che osserva la giovinezza soppesandone gli entusiasmi, che azzanna l’età adulta circondandosi della bellezza delle piccole cose, quelle che nessuno nota, chiudendo di fatto il cerchio. Il songwriting di Andrea Calvo sublima in puntuali istantanee a cui il calore del sentimento imprime la giusta saturazione; le canzoni letteralmente si animano, mutando ascolto dopo ascolto, definendo in maniera sempre più nitida quella emozione che istintivamente allontaniamo. Infatti, quando permettiamo alla musica di farci questo, di concederci gentilmente, allora siamo dinanzi ad una creatura artistica sensibile ed ispirata. Oltre al l’ovvio jingle-jangle dal sapore Eighties (The Go-Betweens citati dallo stesso Calvo, ma pure House of Love e l’ingenuità degli Aztec Camera dell’esordio) e ad una ricercatezza melodica pulita e splendente (come non rimanere incantati dall’intro di Diary of Sorts), Grand Drifter aspira -con grande referenza ed umiltà-  alla perfezione stilistica di Paul Simon, con un tocco personale riconoscibile in quella malinconia di fondo che scalda l’anima, accarezzando il paragone con il maestro nella traccia finale che da il titolo all’album.
In Only Child ci suonano gli amici Yo Yo Mundi e parte degli Smile, consolidando quella ricchezza armonica che sale sin dall’apertura di A Deal with the Rain o nel chorus di Debris (una delle mie preferite), mentre suonano più asciutte e minimali (seppur con un succoso retrogusto lo-fi) The Big Without e To the Evening Stars disposte una accanto all’altra in un momento centrale particolarmente denso del disco, un momento caratterizzante che imprime la cifra stilistica di questo secondo sforzo discografico.
Se il precedente Lost Spring Songs (2018) possedeva una bella dimensione folk senza nascondersi nell’omaggio ai propri idoli (l’aura di Eliott Smith palesata sin dalla prima traccia), Only Child alza l’asticella verso rotondità melodiche particolarmente efficaci, arrangiamenti morbidi eppure dinamici, nel quale il tocco personale è evidente nell’empatia delle liriche.
Uscito su cd e vinile rispettivamente per Subjangle e Sciopero Records (praticamente esaurite tutte, una copia giace a casa mia), Only Child è un disco sopraffino, delicato, lenitivo, con il quale Grand Drifter esce finalmente allo scoperto come uno dei migliori artisti di quello che un tempo chiamavamo musica indipendente. Un disco, che inconsciamente so, porterò nel cuore per molto molto tempo.

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Grand Drifter bandcamp

recensito da Poisonheart

 

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