Freischwimmer – Dnezzar

E’ sempre una gioia testimoniare la nascita di piccole etichette indipendenti, ancora di più se queste offrono un pacchetto musicale che non prevede ricicli di un indie-italiano saturo o poco incline a svoltare rispetto a soluzioni trite e ritrite: così il genuino folk lo-fi della Pipapop Records si smarca dalle logiche indie-generazionali proponendo artisti e canzoni molto personali e ricercate. Altrettanto importante è concedere questo breve spazio all’uscita numero uno (quella che nei cataloghi diventa quasi cimelio), il battesimo della label e -spesso, ma non sempre- il manifesto programmatico dell’etica e del proprio modo di concepire la musica: in Freischwimmer di Dnezzar convivono le movenze indipendenti e la passione per un approccio più classico e raffinato.
Dnezzar - FreischwimmerSotto lo pseudonimo Dnezzar si cela la figura di Jacopo Mazzer, polistrumentista con l’inclinazione tanto per il violino, quanto per corde e tasti, capace di assorbire come una spugna influenze che ruotano tra quel lo-fi voce & chitarre ed addensamenti orchestrali più elaborati. Freischwimmer -famigerato PP01, uscito il novembre scorso- offre cinque brani che condensano una strana energia cresciuta tra vibrazioni di chitarre acustiche danzanti e di un ensemble di archi e fiati che ne colora di pastello la melodia, rendendo la produzione molto pulita e soffice all’ascolto: poco o nulla da spartire con la stereotipata idea comune di lo-fi.
Il cantato appassionato prende il calore e la teatralità da un pop impastato alla Fleet Foxes e lo intinge in una melassa eighties conferendo così una patina retrò, in uno schema canzone fortemente influenzato dall’approccio orchestrale. Volumi e dinamiche volteggiano nel pieno rispetto dell’armonia, evitando scossoni indigesti o iniziative caserecce, ottenendo così un amalgama che si percepisce sin dal primo brano e si espande -entro ben delimitati confini- fino all’ultima traccia. Pete’s Song scorre da una sorgente di montagna con il piglio di una chitarra acustica vivace, rintocchi di piano e lontanissimi echi di violino che si dissolvono in un finale liquido ed evanescente. Sonorità calde si confermavano già nell’iniziale Like a Stone, pezzo di punta in Freischwimmer, grazie ad un fervente cantato che raccoglie tutte le briciole pop al servizio di un languido divenire di archi.

Il tono da marcetta nordica soffia controvento in The Hurricane, trovando buoni spunti in un’interpretazione molto sostenuta, quasi da serioso menestrello di un folk che non vive solo di chitarra, ma che si avvale del contributo dei fiati per rendersi immune dalla nenia di quelle migliaia ballads già sentite. Tuttavia c’è spazio anche per qualche sterzata verso influenze seventies, come nell’esotica Spanish Twist Again, che a dispetto del titolo si muove con accortezza e mistero, lungo un sentiero mistico, ove i cori nel chorus non fanno che accrescere il pathos per il brano che più di tutti si ribella -entro i confini di una solida coerenza musicale- allo schema del disco. Si chiude con eleganza nella pastosa ed evocativa atmosfera di Sancta Sanctorum, ove l’effetto “ovattato” dell’organo si scontra con una pagana vocalità pop dalle movenze feline.

Sui generis, Freischwimmer offre una ben disposta originalità verso un formato canzone accessibile ed empatico, dosando volumi e cancellando dal vocabolario indie ogni sorta di distorsione e feedback. Dnezzar intraprende così un cammino sospeso tra la passione per archi e fiati, ed una predisposizione ad un pop celebrativo e pomposo, che in futuro potrebbe virare tanto su soluzioni funky, quanto verso elementi elettronici, senza in alcun modo smorzare l’endemica voluttà classica.

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recensito da Poisonheart

 

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