Forse non è la Felicità – Fast Animals and Slow Kids

Lo attendavamo da un bel po’, come quando si aspettano quei pochi e speciali dischi nel quale aleggia un’energia perfetta ed un’armonia perfetta; Forse non è la Felicità (sempre via Woodworm) tuttavia non è il fantomatico album della maturità o del salto di qualità, forse quello che vogliono comunicarci i Fast Animals and Slow Kids (da qui in poi abbreviamo a FASK) è qualcosa di diverso, più profondo, più personale.
E’ vero, i testi sono rifiniti ed eleganti in maniera più omogenea rispetto ad Alaska (2014), e la scarica adrenalinica della musica tuona solo quando necessario, risultando ancora più forte e potente anche quando i volumi si abbassano e le soluzioni melodiche predominano. Personalmente, leggo Forse non è la Felicità come un grande concept sullo svanire del tempo e di quella parte di se stessi più spensierata, senza dimessi rimpianti o noiose lezioni di vita. Nei FASK cresce, con buona progressione, la responsabilità ed una visione di prospettiva verso il futuro, ma è un processo personale ed intimo, che non vuole farsi portavoce generazionale, né ritrarre con occhio esterno situazioni particolari ad alto contenuto di immedesimazione. Arrangiamenti secchi e dinamici, a volte anche senza quella scalmanata irruenza a cui i precedenti dischi ci avevano abituato: chitarre presenti, ma ridimensionate da un’arte melodica più sottile e ragionata.
Ed a volte capita che qualche pezzo degli 11 in scaletta, non arrivi subito, ma è solo una questione di empatia con il pensiero e l’enfasi che i FASK vogliono comunicare.

FASK forse non è la felicitàNato sul finire del tour di Alaska, Annabelle è certamente il trade d’union tra i due dischi (bellissimo il videoclip nella sua disarmante semplicità), istintivo nella postura ritmica e nel ruggito delle chitarre, ma con quel fondo di malinconia che già si delineava nelle produzioni più recenti dei FASK. Il lungo arpeggio elettrificato e pulito, ascoltabile nell’incipit di Asteroide, prepara il terreno per una prevedibile deflagrazione di distorsioni, ed invece il divenire è intenso a ritmo di una marcetta di rullante, che solo poi s’apre ad un cantato intenso e riflessivo («Il quotidiano uccide / Se hai altro a cui pensare / Se quello a cui tu pensi / È solo per scappare»), toccando apici da inno da cantare a squarciagola nel chorus.
Giorni di Gloria mostra grandi progressi a livello di scrittura (peraltro quasi mai scontata!), messi accanto ad un mid-tempo nineties ed isterico, che non frena nemmeno dinnanzi ad un ritornello che decanta tutte quelle illusioni perdute. Eppure è solo con Tenera età (miglior pezzo del disco!) che lo strappo è totale e si entra per davvero nell’intimo di quest’ album: la cadenza è più meditata, il senso di scoramento striscia silenziosamente lungo la schiena, verso un’introspezione brillante e veggente che riecheggia in uno dei più poetici ed intimi ritornelli mai sentiti («Di rosso e di giallo di foglie vestita / Il tuo posto risiede nel dirupo più alto che c’è, il più buio che c’è / Che la tua montagna mantiene sicura / Ma perdi in bellezza e ne perdi in tenera età, la tenera età»).
Fiumi di corpi fa tirare il fiato a metà disco, eppure gli strati sonori non sono mai stati tanto aggrovigliati ed eclettici; confermati dalla meticolosità di Montana, ove i ritmi rallentano in una bellezza ruvida (quasi emo-core), mentre il cantato di Aimone Romizi si fa cobaniano in strofe dinoccolate e tese, ma mai pronte a scoppiare, poiché, sia nel chorus («Tempo / Inquina / La stabilità / È crusca per le bestie») che nel finale ciclico («L’abitudine fra noi / È la piaga nel mio petto»), che i FASK comunicano le emozioni più violente ed inaspettate.
La confessione allo specchio prosegue in Capire un errore, ove la sezione ritmica di Jacopo Gigliotti e Alessio Mingoli annichilisce anche le virate di chitarra più stridule, eppure nel bel mezzo del pathos adrenalinico, uno stop&go non previsto lascia l’ascoltatore intontito e spaesato, mentre una nenia ripete con insolenza «Non sarò sincero lo sai / Non sarò con te»; per poi riprendere volume e chiudere in bellezza con distorsioni e modulazioni intense che anticipano la malinconica 11 Giugno.
Il disco nella sua parte finale ritorna sul concetto di perdita, Ignoranza, in particolare, enfatizza lo scolorirsi degli ideali (e forse un loro ridimensionamento!)  con una dichiarazione d’intenti piuttosto chiara sin dall’introduzione («Non saremo liberi / La ribellione è morta / Il peggio che ci aspetta / È avere ancora scelta»). Con lo stesso piglio illuminato e trame di chitarra spettacolari per intensità e puntualità (pollice su per la lead-guitar di Alessandro Guercini), Giovane scoperchia emozioni e quelle confessioni difficili da tirare fuori, trovando nella fuga un facile epilogo, che tuttavia intimamente sa bene di non essere la soluzione tanto agognata («L’eterno è un male / Che rifuggirai / Se un canto / Non trapasserà il tuo petto»); finale pirotecnico, come da marchio di fabbrica dei FASK.

Forse non è la Felicità
viene piazzata in fondo al disco, come a condensare in una traccia sola tutto il succo degli 11 brani («Se il giorno è tenero, la notte mi consuma / E sfonda gli argini del vino in questa bocca»); i FASK puntano all’assoluto con grande convinzione, ci arrivano in pieno e forse colgono anche qualcosa in più. Riflessiva e crepuscolare, la ricerca della felicità è mestiere complicato e volubile, che vive di emozioni spesso primordiali e fugaci, i FASK trovano parole e note giuste per disegnare un pensiero che risiede ben nascosto in ciascun individuo, ma che in pochi riescono a confessare: «Forse non è la felicità / Ciò che voglio / Ma un percorso per raggiungerla». 
C’è grande musica in questo disco, ma c’è pure grande libertà artistica e voglia di comunicare … e dopo 10 anni di carriera in giro per l’Italia, i FASK hanno ancora voglia di mettersi in gioco e di non adagiarsi su quanto di buono fatto sin qui! Certamente uno dei migliori dischi del 2017. 

recensito da Poisonheart

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