Foo Fighters – Foo Fighters

Cobain muore nel 1994 e mentre tutti sono sconvolti e meditano in progetti commemorativi audio e video (Live, Tonight, Sold Out! per esempio completato da Novoselic), il talentuoso, ma acerbo, Dave Grohl, batterista di quelli che furono i Nirvana, non sta con le mani in mano e decide di mettersi in proprio. La BMG scruta il potenziale del ragazzo, già autore di Marigold, lato B del singolo Heart-Shaped Box; e inizia il progetto Foo Fighters. Con lui, l’esperto Pat Smear (già con i Nirvana per il tour di In Utero) e la base ritmica dei modesti Sunny Day Real Estate, ossia il bassista Nate Mendel e il batterista William Goldsmith.

Foo Fighters - Foo FightersL’omonimo esordio è quasi completamente suonato da Dave Grohl, che lascia la batteria per cantare,  e ovviamente prende in prestito qualcosina dai Nirvana. Ma non fatevi ingannare, i Foo Fighters hanno un percorso completamente diverso! Le somiglianze sono sottili solo in qualche riff di chitarra o in qualche ballata in bilico tra Beatles e R.E.M.; per il resto sono sufficienti This is a Call e I’ll Stick Around per avere conferma di quello che dico. La prima apre il disco con un grunge ridimensionato, aggressivo a tratti e molto armonioso, complice la voce di Grohl non ancora “formata” e grintosa. La seconda, decisamente radiofonica, è ammiccante al primo ascolto e ripete quello schema cobaniano del verse-chorus-verse, alternando le parti lente delle strofe con l’esplosione a suon di gain dei chorus. Ad ogni modo il risultato non è da buttare, seppur la freschezza e l’originalità latitino.

Il resto del disco annovera, per esempio, una ballata alla Byrds come Big me, dal sapore apertamente pop, nel quale Grohl sembra trovarsi a proprio agio. Esplosione sospesa tra hardcore e il garage più aggressivo è l’ottima Good Grief, la migliore espressione del disco, in cui sta volta è Smear (ex Germs, icona nel suo piccolo, del harcore anni ’80) a calcare mano e distorsioni. Altro passaggio molto interessante è Floaty, claustrofobica e urlata in modo onesto e convincente, ottima base ritmica, nonostante alla batteria manchi un po’ di pepe. Da citare la quasi punk Weenie Beenie e addirittura un fatiscente blues dalle luci soffuse in For all the cow.

Il risultato finale si fa ascoltare, avvincente in alcuni passaggi e ispirato al punto giusto, tuttavia l’ascoltatore a fine disco può chiedersi senza rimorsi “ma cos’ho ascoltato? Un disco grunge? Punk? Garage?“. Insomma la varietà nelle tracce è tanta (una cosa buona)  ma è mal assortita. Quello che viene da domandarsi è se davvero Grohl abbia deciso da che parte andare a parare con la sua nuova band. Ad ogni modo questo disco non suona grunge e nemmeno post-grunge (se mai sia esistito!). Con il secondo lavoro (The Colour and the Shape, 1997) i Foo Fighters cambieranno decisamente registro smarrendo le buone cose fin qui ascoltate, virando verso ballate rock-pop come Everlong o My Hero, amatissime tuttora dai fans … ma con il passare degl’anni avranno tempo di riprendersi.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass


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