FLOP! – The Van Houtens

The Van Houtens sono certamente l’ibrido fenomeno autunnale del momento che mescola indie-rock più semplice con fraccassona provocazione degno del più oculato show-biz. Sottile come il confine tra genialità e demenzialità, la musica di Alan e Karen è “particolarmente interessante” quanto imprevedibile, e proprio per questo a volte riesce bene a volte riesce male.
Di strada ne hanno fatta tanta: dalla band fantoccio degli inizi nel 2008, passando per (It’s a) Beautiful Day scelta dagli abili chef della Mc Donald’s per la loro reclame, fino alla fugace partecipazione (con tanto di esibizione provocatoriamente punk) a X-Factor che ha suggellato in prima serata quel chiacchiericcio virale che da un po’ andava avanti nel web.
Per questo motivo lascio ad altri esperti cowboy cavalcare l’ondata di popolarità che John Frog (la canzone di Giovanni Rana) e il compatto Britalian (2015) sta meritatamente ottenendo. Preferisco, fedele alla mia natura controcorrente, raccontare (per quanto meglio posso) le origini e l’esordio del 2012, quel FLOP! che probabilmente aveva già in seno quello che sarebbe stato il fenomeno Van Houtens.

Alan Rossi è davvero troppo per il provincialismo italico. E’ sveglio, ha la risposta pronta, conosce il punk inglese e i suoi tranelli (forse Johnny Lydon poteva apparire uguale ma con la cresta se fosse nato a Milano) ed ha capito benissimo la lezione del “tormentone”. Alan è quindi un artista, eclettico quanto basta per essere antipatico, un tipo acuto (Tyler Durden avrebbe detto proprio così!), ma tutto sommato onesto in quello che fa. E’ questo l’elemento più interessante dei Van Houtens: sono come appaiono, lo si vede dalla naturalezza e dal menefreghismo educato con cui si espongono in tutte le direzioni possibili. Talvolta rischiando di cadere …

Flop! - Van HoutensFLOP! è un disco dalle sonorità scarne, ma suonate per davvero. Plettrate buttate qua e là, fragili riff e palm mute sputati senza ritegno, poi ci pensa la voce della sorella Karen a decorare (anche in background) i punti deboli di una melodia altrimenti troppo povera. Automatic Girl è un buon brano, che prende spunto dalla musica inglese (pop o indie poco importa!), tuttavia dimostra che i Van Houtens hanno buon orecchio ed una base culturale solida. Poi arrivano le scelte discutibili, la demenzialità come ospite indisiderato ma segretamente tanto atteso. John Ferrara & Betty Karpoff inaugura la stagione del “britaliano”, quel modo di cantare per metà inglese e metà italico steso su di un tappeto sonoro minimo, fatto di pianoforte e di una base elettronica che sorregge le scorribande linguistiche del duo. La capacità geniale dei Van Houtens è quella di rovesciare la carenza generale del popolo dello stivale per la lingua inglese e di trasformarlo in qualcosa di orecchiabile, cantabile e riconoscibile univocamente. Una trovata semplice, che però nessuno ha mai applicato in questa maniera easy nella musica.
I Want to Tell you è uno dei miei preferiti, probabilmente perché il più completo nella sua contorta cantilena che scivola nella disco anni ’80 digitalizzata a basso costo. E’ il brano più vicino alle idee confuse e dicotomiche di Britalian, eppure alla lunga convince per la misura col quale il “seme del male” viene dosato. E poi c’è il simpaticissimo videoclip con tutti sosia dei più celebri artisti scomparsi (manca Hendrix mannaggia!), che rapiscono i Van Houtens per farli giocare a twister nella loro villa privata (ok, io l’ho un pò semplificata, ma guardatelo).

Attirare l’attenzione ed attirarla nel modo giusto, ed in un mercato fermo come quello italiano, vuol dire fare discograficamente centro. Per questo brani come Matala o Tosa Come Back o 1987 Souvenir sono nient’altro che bubblegum leggeri, nella quale la sperimentazione viene sfrattata dalla sua calda cuccia, per diventare materia ossessiva, petulante ed invadente grazie ad una elettronica spiccia e fai-da-te. Paper Plane è l’altro brano di punta di questo particolare esordio. Un brano serio, ben costruito nella sua struttura di ballata confidenziale, senza essere accondiscendente, ma anzi disinteressandosi di emozionare il pubblico: gli archi d’orchestra nel finale conferiscono un’aurea pacata che forse volutamente stride rispetto al lief-motiv arlecchinesco del disco. Di (It’s a) Beautiful Day sarebbe da aprire una infinita disamina, poichè quella grande scelta di Mc Donald’s ha generato un effetto farfalla che si è protratto fino ad oggi, sconvolgendo anche la mite vita del signor Rana e dei suoi tortellini. A volte è frutto del caso o del bizzarro destino: saranno state quelle atmosfere da fattoria, o il ritornello orecchiabile eppure il brano è fortunato e vincente!
Il fututo prossimo dei Van Houtens è in evoluzione e potrebbe anche accadere di tutto: dai concerti in duetto con Bob Dylan, o dai divani dei talk-show, chissà. Però una cosa è certa, i Van Houtens sono contagiosi, ed il coraggio con cui espongono la loro demenzialità ragionata è encomiabile … anch’io mi sono fatto quasi coinvolgere, ed ho rischiato seriamente di scrivere questa recensione in britaliano … poi però il mio precario inglese mi ha fatto desistere. Meno male per voi!

Ascolta FLOP! qui

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

 

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