Double Nickels on the Dime – Minutemen

Double Nickels on the Dime è più di un disco di musica indipendente. Double Nickels on the Dime è uno stile di vita, una priorità, un modo di essere. Oltre al punk, oltre ad altra qualsiasi filosofia, do-it-yourself o econo: “Our band could be your life” rappresenta l’essenza dei Minutemen.

Sagaci recensori hanno affibbiato le più sdolcinate lodi per questo disco, che dire fuori dagli schemi è dire poco, poiché spesso l’attenzione non si sofferma oltre un ascolto fugace e distratto, poiché quello che balza all’orecchio sono i 45 brani che non superano mai e poi mai il minuto numero tre e condensati in un doppio Lp dal sapore eclettico.
A mio personale avviso Double Nickels on the Dime non è un disco sofisticato o fantastico solo per il motivo citato sopra, poiché nell’intera discografia dei Minutemen è sempre stato presente tale approccio. Non è nemmeno un disco da collezionare solamente per la varietà di suoni e per la capacità del trio di cambiare faccia ed approccio ad ogni canzone, pur mantenendo un unico filo conduttore.
Double Nickels on the Dime è un disco bellissimo semplicemente perché viene dal cuore, viene dalla spontaneità di tre musicisti e dalla bravura di mescolare i generi e giocare con la musica. È un disco divertente, un po’ come lo era D. Boon e quella sua faccia paffuta; «quel ragazzo avrebbe dato la metà di tutto quel che aveva; era un tipo grosso, corpulento, scarmigliato, allegro e con un cuore grande così. Lo amavamo tutti» ricorda Henry Rollins dei Black Flag con cui hanno condiviso il primo tour.
E poi una volta finito d’ascoltare, questo disco ti fa pensare a lungo su come spesso il destino sia già scritto dentro la storia di ognuno di noi. Il rombo di motori con quale si apre il disco, la foto in copertina nella quale Mike Watt ci guarda dall’interno di un’auto, appaiono segni quasi profetici vista la prematura scomparsa del cantante e chitarrista D. Boon. Così alla fine di questo rutilante 33 giri, agli ultimi secondi dell’ultimo brano penso in cosa sarebbe potuta diventare la musica indipendente ed alternativa della seconda metà degli anni ’80 se i Minutemen avessero continuato a mietere dischi, cosa sarebbe rimasto degli anni ’90 se qualche altra giovane band si fosse presa la briga di raccogliere la loro eredità.
Double Nickels on the Dime si dissocia dall’hardcore di cui i Minutemen (seppur marginalmente a mio parere) hanno fatto parte. Il disco è quasi una prova di forza e di bravura; una consacrazione verso il lavoro della SST Records di Greg Ginn che nel giro di pochi mesi nel 1984, manda alle stampe i doppi dei Minutemen che gli Hüsker Dü, entrambi fondamentali. Un ambiente quello indipendente tuttavia ancora molto amichevole e scherzoso, in cui la sana competizione giovava alle band, come vuole rappresentare quel ghigno sul retro della copertina (Take that Huskers!) raccogliendo con grande coraggio la sfida lanciata dagli amici di Minneapolis con Zen Arcade (leggi recensione) qualche mese prima.

minutemen - double nickels on the dimeCome detto nel doppio ci sono qualcosa come 45 brani divisi in 4 lati, ciascun lato prende il nome da uno dei tre componenti (come idealmente avevano fatto i Pink Floyd in Ummagumma): lato D., lato Mike, lato George e l’ultimo lato chaff (con il lato degli scarti, per così dire!). Si inizia con un rombo di motori e si finisce nello stesso modo, in quella che qualcuno ha immaginato come una lunga cavalcata da est a ovest sulla 10 Highway alla velocità di 55 miglia orari (in realtà un modo ben sbeffeggiare il patetico Sammy Hagar con la hit mainstream I Cant’ Drive 55) .
Un on the road anche di generi musicali e di influenze, a partire dal funk ipnotico onnipresente del basso di Mike Watt che detta le linee guida nel quale la chitarra di D. Boon colora con brevi fraseggi blues. Theatre is the Life of You o la più acida Viet-Nam sono degli esempi complessi di questo approccio minimale ed economico di cui i Minutemen hanno fatto una filosofia. Proprio la pratica dello jamming econo diventa una delle tante peculiarità della band di San Pedro. «Econo sta per efficiente, parsimonioso» affermò D. Boon in un intervista alla fanzine Flipside; canzoni brevi, budget limitati di registrazione (i Minutemen prenotavano la sala di registrazione di notte e registravano i brani come sarebbero poi comparsi nel disco, evitando di spendere per l’editing), autopromozione ed autogestione nei tour. Un concetto che nasce dal sottosuolo proletario di San Pedro nel quale Mike Watt e D. Boon sono cresciuti, tuttavia econo è anche un termine che fa parte della filosofia Henry Thoreau e di riflesso anche del punk, poiché «Tutto quello che hai sei tui, e devi tirarci fuori qualcosa» puntualizza lo stesso Watt.

Quindi se dopo una manciata di minuti l’ascoltatore crede di aver compreso questo punk-funk isterico e ricco di sonorità, deve presto ricredersi quando attacca la sola chitarra gitana in Cohesion. Allora subentra l’agrottamento delle sopraciglia, ma non c’è nemmeno il tempo per capire che ecco It’s expected I’m gone nel quale gli echi 70s (Creedence Clearwater Revival sono un’altra grande passione dei Minutemen, vedasi la cover Don’t Look now!) fanno capolino attraverso un ritmo di batteria inziale di Hurley, da cui Dave Grohl riprenderà quasi diec’anni dopo Scentless Apprendice. Cito nel primo lato ancora Do You Want New Wave Or Do You Want The Truth che scivola via dalle mani grazie ad una base ritmica appena percettibile ed un riff cristallino (altra caratteristica imprescindibile nella chitarra di D. Boon) che rapisce piacevolmente l’orecchio. Da citare anche Take 5

Il lato Mike si apre con un punk irriverente di Political Song For Michael Jackson To Sing per rimanere nell’orbita di brani più amalgamati tra loro, tra cui spicca la poderosa Glory of Men, nel quale il graffiare della sei corde entra ed esce dal dinamismo funk del brano: arrangiamento portentoso in tempi ristretti, un po’ come in tutto il disco (anche se si rischia pericolosamente di superare i 3 minuti, e questo non fa bene alla politica econo!), il risultato è sempre perfetto. Con My Heart and The Real World i Minutemen esplorano altre sonorità, un po’ come avrebbe fatto Joe Stummer ma il tutto non supera il minuto e spiccioli. Infine Hystory Lesson II chiude in tutta la sua bellezza sghemba il cuore artistico del disco, nel quale sono gettate le basi ideologiche della band:

«Our band could be your life
Real names’d be proof
Me and Mike Watt, we played for years
Punk rock changed our lives
We learned punk rock in Hollywood
Drove up from Pedro
We were fucking corndogs
We’d go drink and pogo»
Da brividi.

La parte dedicata a Hurley annovera la sporchissima West Germany che sembra presa dal repertorio di Richard Hell per quel funk sgualcito e quel cantato melodico e privo di tensioni. Le introduzioni di batteria danno il la a quasi tutti i brani di questo lato (e non potrebbe essere altrimenti). L’anti-inno Themselves viene presentato come una preghiera pagana senza possibilità di redenzione, alla stregua di No-Exchange di chiara estrazione punk e dall’amalgama chitarra-basso a formare una crema veloce e densa, come l’hardcore tanto declamava.
This Ain’t No Picnic rappresenta uno dei capitoli più amati dai fans dei Minutemen, il brano fa riferimento a quando D. Boon fu beccato dal suo capo a mangiare fuori orario mentre lavorava in un magazzino per ricambi in condizioni abbastanza precarie. La band nonostante registrasse dischi ed andasse in tour cercava sempre di mantenere un lavoro stabile, poichè non erano abituati all’idea che si potesse vivere della propria arte. L’estrazione proletaria rendeva i Minutemen sensibili a tutto quello che riguardava i lavoratori e più in generale a come porsi verso le persone, questo di trasmetteva nei testi, a riguardo Mike Watt ricorda come per D. Boon questo venisse naturale: «Riusciva a buttar giù canzoni che parlavano alla gente … non possedeva questo gran vocabolario, ma nel mettere in fila le parole come faceva lui ci voleva coraggio!»

Il lato Chaff è libera espressione portata alle estreme conseguenze, perciò non stupisce il livido rock ‘n’ roll di Untitled Song For Latin America con il quale D. Boon (iscritto al CISPES, comitato di solidarietà per il popolo di El Salvador) non lesina bordate contro il governo Reegan; oppure il blues-messianico di Jesus and Tequila dalle mille sfaccettature.  Stormy in my House, scritta da D. Boon con Henry Rollins, mantiene una sottotraccia maculata e stonata, sottolinea qualora ce ne fosse bisogno la collaborazione indiscriminata tra le diverse band dello scenario hardcore.

Chiudo con le parole di Steve Albini (all’epoca ancora nei Big Black), che ricorda come l’addio di D. Boon (e di conseguenza dei Minutemen) abbia rappresentato un grande vuoto in tutta la scena alternativa: «E così non c’è più nessuno a fare questa cosa nel modo giusto, nessuno che fosse lì dall’inizio. D’accordo è patetico starci così male, ma dannazione, loro ci credevano e per me significavano qualcosa … ragazzi, che si fa adesso?».
Heart of Glass, questo spazio di recensioni ed il sottoscritto devono molto a questa band, poichè i Minutemen hanno forgiato gli ideali che con tanta difficoltà cerco di portare avanti, nonostante tutto, ogni singolo giorno della mia vita. Ora capite perchè Double Nickels on the Dime non è un semplice disco hardcore: “Our band could be your life“.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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