Divanofobia (ep) – Divanofobia

C’è gente che avrebbe seri problemi ad ammettere la propria dipendenza dal divano e quindi dalla tv. Un pigro non-creativo come me potrebbe persino offendersi, ah ah ha. Ed invece il primaverile pop-rock al miele e alla menta dei Divanofobia è quanto di più limpido si possa immaginare. Bologna è la casa di questi quattro ragazzi che fanno della musica una forma d’arte del tutto personale; scomodando sì, i soliti nomi di cantautori scomparsi, ma generando liriche più attuali, incidenti di parole efficaci, accostamenti bipolari, talvolta dalla ricezione contorta ma certamente originali ed interiori: le cazzate di vita “facile” vissuta lasciamole ai veterani anni ’90 o ai fantasmi da rehab.

DivanofobiaOmonimo ep magistralmente prodotto, fa rassomigliare questi ragazzi del ’85-’86 a dei piccoli Kings of Convenience latini. Sinceri, sviscerano il loro pop sensitivo, giocano con suoni armonici ma talvolta graffianti, senza infastidire l’udito in soluzioni mai troppo noize. La generazione della grande scritta coop sembra essere matura abbastanza per camminare su sentieri irti ed aridi, la poesia distribuita racconta senza pudori emotivi e senza eroismi, i sentimenti più comuni in relazione con la costante mancanza di comunicazione di questi due decenni. Roberto Batisti anch’esso classe ’85 collabora sporadicamente con i propri versi alla stesura dei brani dei Divanofobia e, il caffè di Sorprendente, regala un delizioso risveglio: un inno alle piccole cose, quelle che sanno di casa, quelle che aiutano a superare le buche e i dossi del percorso verso la destinazione quotidiana. dopo un buon caffè ci vuole una paglia per rinfrescare la giornata di Gus, quindi Forza e sigarette diventa una colonna sonora arpeggiata come una danza zingara dal retrogusto Tenco. Spesso è nei vizi che si ritrova la propria natura, questa ballata di strada serve solo a rammentarcelo … al diavolo i dottori!

Suoni acrilici, brillanti nella propria forma acustico-amplificata, un pop maturo senza dipendenze da mainstream e con un senso naif della lirica che, per esempio in Civiltà, tocca cime evocative in un torpiloquio intimo che parla di tutti i peccati veniali assunti come virtù dal vessillo dell’ “Europa civile …“.
Piglio più aggressivo, se non altro per le rullate di intro della batteria ed il lieve feedback, in Abrasioni, un brano dalle radici funk tormentate, dai lividi alle braccia, dal viso unto dalle lacrime rapprese. Un ottimo basso modella una confessione cosparsa di molteplici allegorie, ove l’amore (perduto, ritrovato o mai cercato) assume dei contorni più spessi e maturi rispetto alla norma.

Il sapore mediterraneo si innalza sopra le nebbie di Bologna e si porta via con sè Cabala di Luna, onirico desiderio di libertà che ricorda nella sua parte più moderata la migliore Creep ristrutturata e decolonizzata; si chiude con Dopo l’alba un delizioso ed aulico viaggio poetico tra confessioni e rimpianti. Rapisce subito dai primi versi «Entravo nella selva dei tuoi bronchi … »: la migliore ninna-nanna del disco, che lega in fila tutti i brani, in una lungimirante contrapposizione tra l’immobilità emotiva (il divano) e la tensione di cadere nell’indifferenza della massa (la fobia, appunto!). Almeno io la traduco così, dopo essermi scolato l’ennesimo caffè …
Piacevolmente sorpreso …

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recensito da Gus
 

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