Dimmi chi sei e ti dirò chi sei – Rocca

La vita di un cantautore: cappello in testa, l’elmo della chitarra in una mano e una sigaretta leggermente piegata che si sporge dalle labbra. Che romantica visione, una sorta di Huckleberry Finn cresciuto e riveduto (magari in 3D come va di moda oggi!), con barba incolta, trasandata e qualche scheletro nell’armadio della memoria. Se le metafore sono il pane quotidiano del cantastorie, anche in questa si può riconoscere l’autenticità di un messaggio non banale: la sostanza di un artista emerge sempre dall’immagine primitiva che balza agli occhi! È una scelta cosciente, chi fa delle parole la propria musica non lo fa con un pizzico di follia e tanta onestà.

Alessandro Rocca, cantautore milanese battezzato da “Dimmi chi sei e ti dirò chi sei“, si presenta quasi come un Vasco Brondi o un Francesco Bianconi sotto ciniche spoglie. Per prescrivervelo in un cocktail di sue definizioni: un musicista fuori corso, senza la penna di De Andrè e con la modesta quanto assurda aspirazione di forgiare una hit generazionale da suoneria per cellulare.
Sarebbe stato difficile trovare un titolo più azzeccato per un album che si mostra per quello che realmente è: un disco esplicito, essenziale, che si esibisce in pigiama senza addobbi, nella franchezza di un sound acustico con qualche patacca ad esaltarne l’umiltà. In una traccia esemplare come “Fuori corso” notiamo come Rocca faccia scherno di sè e parallelamente questa beffa rimbalzi nella società; alla maniera di Tom Waits (“I don’t want to grow up“). Con il complesso di chi non vuole crescere e s’accontenta, scoprendo come i propri limiti possano diventare anche una forza personale, una vittoria sui preconcetti sociali.

dimmi chi sei e ti dirò chi sei - alessandro roccaIl disco si apre con “Avere 30 anni“, abbozzata da un riff melanconico accompagnato dalla crisi dei trenta a cavallo dei suoi molteplici significati (“avere trent’anni al giorno d’oggi vuol dire pulirsi il culo con i pensieri…“): si tratta di un’amara meditazione anagrafica che si rispecchia in una società svuotata di contenuto. Dopo aver “liquidato” tre decadi in 1 minuto e 38 secondi, il pensiero di Rocca si dimette da ponderazioni a base temporale e volge ad esigenze spaziali, in una Milano in cui non c’è nessun mare in cui affogare (“Se a Milano ci fosse il mare“), una città utopica e pacifica come un’onda che s’avvicina a riva con la forza di placare l’arrivismo dell’uomo. La “sua” Milano è sviscerata e raccontata con intelligenza e passione, una Milano di oggi, lontana dagli slogan altisonanti marchiati da qualche aperitivo. Una sorta di rigurgito generazionale intriso di nostalgia e di vita vera, che si svincola dalla morsa cinematografica di alcune pellicole per single stressati e annoiati. E’ una Milano senza parcheggi da pagare, selezioni da superare e aperitivi balneari, senza salvagenti salvo la gente stessa: una Milano surreale struccata dai cosmetici che ricoprono il suo volto a media e moda.

La terza traccia, “Vedrai vedrai“, sembra sottolineare come ogni cosa sia al suo posto, anche se non sempre in quello giusto: l’importante è trovare un proprio assetto, senza arrendersi pensando che il mondo sia totalmente impegnato… In un modo o nell’altro bisogna avere il coraggio di entrare in gioco, a dispetto di quelli che cercano di convincerti del contrario!
Il conquilino” è una canzone che profuma di storia vissuta, al limite del pirandelliano, dall’università al lavoro, dal matrimonio alla separazione con gli amici storici: il tutto presentato come un monologo con questo fantomatico conquilino (e dal suo continuo consiglio fattosi ritornello di “Non pagare il canone Rai!“). Insomma, Rocca si propone come un cantastorie anomalo con qualche morale dentro le tasche, che ben si mostra esplicitamente e senza giri di parole in “Niente di meglio“.

C’è spazio anche per una canzone come “Lo scettico“,  un discorso intorno alla religione cristiana rivolto direttamentea Gesù (“L’evoluzione ci ha insegnato che Dio è un palliativo per chi vive con poco brio“). In tutte le tracce Rocca riesuma immagini fugaci, in una scrittura sregolata alla Giorgio Canali portata all’estremo, senza spazio per eccessive sofisticazioni.

E’ un disco che al primo ascolto corre il rischio di non esprimersi granchè, in conformità alla timidezza tipica del genere acustico… Passato l’impaccio iniziale,  è un album che parla molto e sarà difficile farlo star zitto! Rocca si mostra come un bravo cantautore che sa anche prendersi alla leggera, e l’ironia in questo disco si coglie a piene mani in finissime allusioni che anche se non vengono colte nell’immediato, si appiccicano ovunque e come sanguisughe depurano il sangue cattivo.

contatti:
Alessandro Rocca album


recensito da  Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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