Dimmi che va tutto bene – Il Sistema di Mel

Il Sistema di Mel ritorna da queste parti dopo gli ottimi riscontri degli esordi (Felida X e Riempimi la testa con un mare di cemento, leggi le recensioni) e lo fa con un disco che riflette tutte le inquietudini e le instabilità di un presente filtrato attraverso l’esperienza del post-pandemia. Rispetto ai lavori precedenti, Dimmi che va tutto bene (per I Dischi del Minollo e Coltellini Dischi) evidenzia una concreta maturità, che si manifesta in liriche che mescolano astratto e quotidiano, con dei temi ritmici pressanti, adiacenti all’emo-core. Ebbene, conoscendo musicalmente la band bresciana ed avendone una certa dimestichezza con le sonorità, le dinamiche e gli approcci, ho fatto una cosa che di solito non faccio mai. Prima ancora di ascoltare una sola nota del disco, sono andato a leggermi tutti i testi di Dimmi che va tutto bene, curioso di capire come si sarebbe evoluto l’album. Ne è emerso un comune sentimento di smarrimento, o meglio di un’inconcludente ricerca di qualcosa che se prima era appagante e riempiva la pancia, ora lascia vuoti e ammainati su labili posizioni. La ricorrenza di certi scenari (il letto, le azioni routinarie, la macchina che non va) sembrano porre l’accento su quella vecchia e rassicurante normalità che sotto nuovi occhi appare grottesca e rovesciata dal suo caldo abbraccio. L’isolamento è tangibile, una vena di agrodolce malinconia avvolge tutto il disco, sin dalle prime battute di Tornare a Casa che ripropone come un mantra -ma senza apparire autoreferenziale- il titolo dell’album.

Dimmi che va tutto bene - Il Sistema di MelSebbene il tema della pandemia (e dei suoi postumi) sia stata sviscerata in questi mesi in tutte le salse, è comunque degno di nota come Il Sistema di Mel lo affronti, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa, liberandosi da quelle zavorre che nel post– diventano decisamente insostenibili. Perciò, Dimmi che va tutto bene, si affaccia come un’esortazione allo specchio, un’auto-analisi istintiva sull’immediato presente, un costante darsi coraggio, con la consapevolezza di dover lottare senza molti pezzi di quell’armatura che la pandemia aveva mostrato inutili e pesanti. Sette brani compatti e spigliati, che non si nascondono dietro ad una retorica buonista, ma che con una forza viscerale e sensibile si spingono oltre, dividendosi in riflessioni che non si accontentano di galleggiare in superficie. Dai rapporti umani in crisi o ai risvolti più reconditi dell’anima di Frammenti, all’isolamento come via di fuga in Sottosopra, passando per le fasi di solitudine (Un’altra volta) e di depressione (Pigiama) che si possono incontrare nei momenti di indecisione.
Sorretto da un collaudato emo-core enfatico e posato negli arrangiamenti (vedi la nostalgica Distanti) che tuttavia non abdica alla ballata pop o alla chiosa strumentale finale (Chamel n.5), Dimmi che va tutto bene è un lavoro rarefatto, che rinuncia alla potenza e ai volumi del passato, per comunicare senza vergogna le proprie incertezze, ripulendosi dalle tossine del recente passato nel tentativo di ritrovare una stabile serenità e una rinnovata energia per il futuro.

 

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Coltellini dischi bandcamp

recensito da Poisonheart

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