Dopo di noi il diluvio – Eva Braun

Ci vuole una certa dose di incoscienza (e quindi di coraggio) per abbigliarsi in quel verde militare come dei nazisti “dell’amore” e chiamarsi Eva Braun, evidenziando una contraddizione storica che in pochi vogliono sottolineare: in un cuore affogato nell’odio, c’era anche dell’amore! Una regola che si può applicare in generale dunque, che prende una metafora dalle tinte forti per connotare un altrettanto forte stato d’animo: quell’oblio dei sentimenti che viene sempre trattato con la superficialità delle apparenze, senza addentrarsi (come fanno gli Eva Braun), dentro la follia e la disperazione più profonda. Dopo di noi il diluvio, è un disco pieno di lividi e di quella consapevolezza che andare avanti a testa alta è l’unica cosa che si può fare, il tutto suonato con un’intensità isterica che non vuole spartire nulla con generi o stili, ma che comunica quello che sa, come meglio sa fare. Paolo Annesi (voce e chitarra), Daniele Sganga (basso), Marco Vollaro (batteria) e Alessia Di Rienzo (chitarra, sì signori finalmente il lato femminile della sei corde!) elaborano quello che non è un azzardo definire un concept sull’amore senza condizioni, nel quale vicende di vita si intrecciano ad un cantautorato serio e maturo con licenza poetica (non disdegnando pure licenze cinematografiche), che mescola realtà e sogno in un’unica vernice rossa, come il sangue e come l’amore.

Dopo di noi il diluvio - Eva BraunSe l’incipit flusso di coscienza di Impromptu n.1000, non ci dice nulla sulle reali intenzioni musicali dei Eva Braun, è innegabile quella carica libera di inibizioni e di preconcetti sulla musica e sulla vita, che nient’altro è che il più bell’atto d’amore per un musicista. Ad aprire Conoscersi da sempre, ci pensa un piccolo ed intimo estratto da Hotel Chevalier (cortometraggio di Wes Anderson e prequel del film The Darjeeling Limited), così indirettamente le atmosfere si fanno delicate, nostalgiche, un tantino fataliste su quelle che sono le meccaniche dell’addio e della partenza.
Come la lama di un coltello, le parole degli Eva Braun penetrano oltre la scorza più dura dell’animo, superando timidezze ed inibizioni, evocando grandi verità che solo la vita può insegnare. In Tanatosi (da thanatos, quindi morte) è la metafora perfetta per decodificare questo disco, e scardinare quel senso di alienazione e di isolamento che tocca il climax nel chorus liberatorio “come sentirsi meno ospiti ed esuli nello spazio“. Se le chitarre enfatizzano la drammaticità del cantato, la seziona ritmica placa ogni velleità fatalista, combinando precisione a perentorietà ed asciuttezza. Così in Dopo di noi, la discesa all’oblio rintocca ipnotico come il riff acuto di chitarra con cui si apre il brano, per poi deflagrare in una penetrante batteria che colpisce forte come i pugni sul sacco: “chi di speranza vive, disperato muore!” è più di un monito, diventa una regola. Il suo prosieguo naturale (dopo il siparietto finale “it could be worse it could be raining” ripreso da Frankenstein Junior), è platonicamente Il Diluvio, che apre la seconda metà del disco con un rombo di basso e batteria, mentre chitarre acriliche urlano al cielo con sommessa disperazione; il requiem prosegue spedito con un pathos incredibile ed una tensione che non trova mai il proprio sfogo finale, nemmeno dopo il pazzesco assolo finale di sei corde che chiude il brano.
Le dinamiche di una relazione vissuta per torturarsi a vicenda è il tema portante di La maggioranza silenziosa, nel quale gli Eva Braun elencano consuetudini ed incomprensioni che assumono i contorni di una triste routine: sono più forti i personalismi, i piccoli grandi egoismi, la delizia del dispetto e del velato sopruso a vincere su quella conciliazione e quella pace, che viene sottovoce tanto agognata. I ritmi riacquistano vivacità e riprendono fiato in E poi dicono che non esiste attrazione chimica, mentre nella finale Il progetto Manhattan, il lungo intro non fa altro che diluire appena una tensione iniziata dal primo brano e proseguita con una costanza scientifica per tutto il disco. Echi e modulazioni cristalline colorano in maniera variopinta un altrimenti grigio cinismo di fondo, nel quale si evoca una tabula rasa in Piazza della Pace, per cercare di ricostruire quello che oramai l’amore ha perso: il rispetto per se stesso.
Dopo di noi il Diluvio (Exit Records) è un disco intenso, a tratti davvero sontuoso e difficile, che elabora l’amore sotto tante scatole cinesi, in un vortice di emozioni splendido, acuto, e vissuto per davvero. Personalmente sono dinanzi ad una delle uscite più interessanti di questo primo scorcio di 2016; gli Eva Braun suonano parole e musica come se fosse un’unica materia malleabile, la modellano a proprio gusto, ottenendo un ascolto finale esigente, molto accorto nelle dinamiche e nei volumi, e dannatamente passionale!

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recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

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