Daydream Nation – Sonic Youth

Col senno di poi, il monumentale doppio Daydream Nation, rimane probabilmente il punto più alto della lunga carriera discografica dei Sonic Youth, eppure gli stessi non rimasero troppi soddisfatti da come la Blast First aveva gestito la distribuzione dell’album. «Gli unici che conoscevamo che ne avevano pubblicato uno erano i Minutemen e gli Hüsker Dü …» ricorda Steve Shelley parlando di un doppio disco che nacque solo per esigenze di minutaggio dei brani, «..tutte le canzoni erano lunghe, ad un certo punto ci siamo resi conto che non ci sarebbero state in un unico disco».

Teenage riot in a public station: Dopo le buone premesse di Sister (e soprattutto di Evol), i Sonic Youth provarono il nuovo materiale nel magazzino di Michael Gira degli Swans, le cui pareti grezze rendevano particolarmente dissonanti le sonorità che Thurston Moore e Lee Ranaldo imprimevano alle proprie chitarre, creando “muri” sonici ispirati a quelli di J Mascis. La potenza vorticosa delle melodie pesantemente stratificate rimane uno dei tratti distintivi di un disco ispiratissimo nelle liriche alla vigilia delle elezioni americane, che avrebbero visto ancora una volta trionfare i conservatori reaganiani. Daydream Nation in realtà avrebbe potuto chiamarsi Rock ‘n’ Roll for President, anche grazie all’acre disinvoltura di Teen Age Riot e di quel miscuglio tra chitarre sporche, psichedelia e desiderio di ribellione:

Spirit desire (face me)
Spirit desire (don’t displace me)
Spirit desire
We will fall

Con il dipinto delle candele di Gerhard Richter in copertina, i Sonic Youth (o meglio Kim Gordon) deliberano la propria vicinanza alla scena artistica newyorkese oramai lanciata verso una consacrazione di pubblico e di gusto che l’avrebbe allontanata definitivamente dai loft di Soho.
Daydream Nation - Sonic YouthIl carattere punk di Daydream Nation tuttavia rimane violento e puro, l’intro di Silver Rocket e la sua confusa (eppure ben delineata) evoluzione si ritrova a macchia di leopardo su tutto il disco, con dissonanze estetiche che impattano su strati e strati di feedback, mentre il ritmo tribale della batteria smorza la tensione di quel famoso sonic-vertigo, toccando il climax nel momento in cui la Gioventù Sonica ritorna sulle melodie portati. The Sprawl e ‘Cross the Breeze vedono Kim Gordon in un impersonale soliloquio vocale, mentre tutt’intorno la melodia decadente crolla tra echi e stridenti power-chords in accordature assurde. E’ proprio da Daydream Nation che la Gordon si ritrova sempre più centrale nel progetto Sonic Youth, e non solo nel cantare e scrivere una porzione maggiore di brani, ma nell’esaltare l’immagine della ragazza in una band noise maschile; una presa di coscienza nell’apparire più cool, che aveva più a che fare con l’autostima della bassista all’interno del gruppo piuttosto che nel manifestare la propria femminilità alternativa.

Tell me Joni, am I the one to see you through?: Eric’s Trip e Total Trash  giocano tra vibrazioni acide e grugniti distorti, la prima scritta da Lee Ranaldo, vuole omaggiare l’atmosfera lisergica ed alterata che aleggiava attorno alla Factory warholiana, ispirandosi al docu-film Chelsea Girl. Le buone vibrazioni del disco riflettono anche una vena idealista durante le registrazioni al Greene Street di Philip Glass, con Nick Sansano in chiave di regia che aveva principalmente lavorato nell’hip hop (su tutti It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back dei Public Enemy) ed imparò solo man mano a “gestire” le scorribande chitarristiche di Ranaldo e Moore. Hey Joni ne è forse un esempio lampante, ove si possono apprezzare diversi livelli di suono e di arrangiamento, dalle distorsioni portate all’ennesima potenza, agli arpeggi acidi e gommosi, mascherati appena da un basso pernicioso e da una ritmica di batteria delirante.
Dopo l’intramezzo di Provvidence nel quale un lento pianoforte accompagna un messaggio vocale di Mike Watt, il gioiello segreto di Candle ribadisce -seppur in maniera meno sfarzosa- lo schema classico di un lento-veloce-lento con leggere variazioni di tensione, mentre Rain King un abbozzo di industrial-noize alla Swans in salsa Badmoon Rising, rimane tra le pareti più buie dell’apparato uditivo; infine Kissability (e quel cantato intimista e sensuale di Kim Gordon) anticipa quanto i Sonic Youth mostreranno nel loro esordio su major, qualche anno dopo.

All coming from female imagination, daydreaming days in a daydream nation: Prima di chiudere, ecco la suite astratta di Trilogy composta da tre parti piuttosto distinte ed autonome: dalla gommosa The Wonder (I’m just walking around / Your city is a wonder town) e quel suo tono apocalittico dell’accordatura delle chitarre, passando per Hyperstation che risorge, senza sentirne il vagito, dalle ceneri consumate della precedente, in un lungo mood teso e viscido che esplode come sempre in un vituperare noise sudato e sfibrante. Eliminator jr, terza ed ultima parte sperimentale ed animalesca chiude tra feedback e ansimanti ululati un set pirotecnico ed irripetibile nella loro discografia.

Daydream Nation è l’ultimo capitolo indipendente per i Sonic Youth, che non solo gettano le basi per l’indolore passaggio su major (lo stesso a Hüsker Dü e The Replacements fu fatale!), ma che infondono quel coraggio di stratificare e di suonare a decibel altissimi che sarà prerogativa, tanto del grunge mainstream che del post-rock nascente dalla carcassa in decomposizione del post-punk.

recensito da Bambolaclara

 

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