Crossing the Red Sea with the Adverts – The Adverts

Colpevolmente elencati tra i nomi minori del punk inglese, gli Adverts -nonostante una striminzita discografia- sono stati tra gli ingenui precursori della stagione mezzosangue tra un post-punk recidivo ed una new-wave puramente stilistica.
Crossing the red sea with the AdvertsNati nel 1976 da Tim Smith e Gaye Black (successivamente, come suggeriva la moda del momento, ribattezzati T.V. Smith e Gaye Advert) frequentarono la Londra tormentata già nei primi mesi del 1977, trovando nel The Roxy al 41-43 di Neal Street, un piccolo club fucina del punk che si sarebbe fatto conoscere in tutto il paese. Una serie di 45 giri azzeccati -l’iconica Bored Teenagers o la caustica Gary Gilmore’s Eyes– permisero agli Adverts di trovare un buon contratto con la Bright Records (succursale della CBS) e di dare alle stampe Crossing the Red Sea with the Adverts nel febbraio del 1978, ironia della sorte, lo stesso giorno in cui John Lydon abbandonò i Pistols a San Francisco.
Arrivati tardi all’appuntamento con il disco -peraltro effimera composizione celebrativa dei singoli usciti per Stiff ed Harvest Records- gli Adverts, nella penna e nei versi di T.V. Smith, hanno saputo leggere in maniera lucida la contemporaneità che li circondava e li attanagliava, delineando limiti e contraddizioni di una gioventù incazzata ma sostanzialmente di estrazione borghese, mettendosi in un binario parallelo al punk, eppure già proiettato nel futuro prossimo. Se le liriche di T.V. Smith erano taglienti ed intelligenti, il look darkeggiante di Gaye Advert (preso dal transilvanico Dave Vanian dei Damned) stabilì i canoni stilistici femminili del successivo decennio (da Joan Jet a Siouxsie Sioux): dal giubbotto in pelle d’ordinanza, al trucco scuro ed unghie dipinte di nero.
Tuttavia definire Crossing the Red Sea un disco punk appena un minuto prima del rompete le righe, è certamente un’affermazione frettolosa, specie perché nella musica degli Adverts si percepisce una prorompente potenza espressiva, veicolata da un’autenticità che li distanziava dalla dinamica rutilante dei Pistols o dei Clash, preferendo una fresca vacuità ed un nichilismo poetico e raffinato, che sarà d’ordinanza in molti lavori post-punk e pre-wave. Oltre ai semplicistici inni come No Time to Be 21, o alla fredda ambivalenza di Safety in Numbers o di One Chord Wonders, si cela un malessere reale e livido, confermato oltre che da testi atipici ed empatici e da una musica abrasiva e poliforme, anche dalla breve vita del gruppo (e dai frettolosi cambi di line-up alla batteria ed alla chitarra) che già nel 1979 con Cast of Thousands si congedava dal pubblico con una scia di synth che consolidava l’avanzare della wave inglese.

Crossing the Red Sea with the Adverts è un disco da ascoltare con attenzione anche e soprattutto oltre i singoli più rappresentativi della stagione punk; arrangiamenti e liriche che con lungimiranza si slacciavano già dalle statiche posizioni del momento non sono certo un dettaglio da sottovalutare in quel 1978 la cui bugia del No-Future era oramai una spilla su di un giubbotto in pelle nera.

The doctors are avoiding me
My vision is confused
I listen to my earphones
And I catch the evening news
A murderer’s been killed
And he donates his sight to science
I’m locked into a private ward
I realise that I must be

recensito da Gus

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