Controluce – Zeronauta

Giovanissimi classe ’93, gli Zeronauta sono una band già capace di incollare buone liriche su di un tessuto sonoro aspro, che saltella sui contrasti di chitarre ruvide ed inclini a riff cristallini e melodici.
Nati nel 2015 a Firenze, sono i banchi di scuola a cementare un’amicizia che s’avvia alla vita adulta e alla passione per la musica: alle chitarre di Gregorio Serni e Giacomo Aiolli ed al basso di Simone Fallone, si aggiungono successivamente le percussioni di Dario Valoti, completando così una line-up affiatata e compatta. L’alternative-rock a cui gli Zeronauta fanno riferimento trova qualche riscontro nelle ballate anglosassoni dei primi anni 2.0: è tuttavia indubbio lo spiccato lato melodico del quartetto, che non rinuncia a rintocchi acustici e ad arrangiamenti che giocano sul dualismo agrodolce. In  Controluce (fresca uscita per La Clinica Dischi) testi non lineari e piuttosto introspettivi, condensano l’energia graffiante che esce dalla combo chitarre-basso, abili nell’incastrarsi con naturalezza in diversi livelli armonici, senza generare quel caotico post-rock, che in altri casi suonerebbe lezioso, naïf e freddo.

Controluce - ZeronautaIl disco gioca le proprie carte sulla dinamica dei chiaroscuri, alternando un cantato evocativo e sofferto, a momenti vocali più adrenalinici, complice anche una sezione ritmica pimpante, oltre all’indomito muro di chitarre fuzzose e fangose, che sembrano rievocare i primi vagiti grunge. Ad ogni modo la ruggente Vienimi a Salvare  vomita immediatamente un flusso di coscienza autentico e liberatorio, per uno dei migliori pezzi di questo full lenght. L’acidula Giorno Immobile -primo singolo estratto- è mossa da un vortice di chitarre che ruota attorno ad una timbrica quadrata e perentoria (con un ottimo chorus che ti si stampa dritto in testa!). Gli Zeronauta confermano anche nelle tracce successive la loro indole rockettara:  Plastica è secca e frizzante come sarà apprezzato in altri episodi del disco, mentre Sono Rimasto io si muove con azzardo in praterie nostalgiche, tralasciando per un attimo la lucida rabbia che ne aveva contraddistinto fin qui il passo, abbandonandosi ad un indie erudito che qualcuno potrebbe accostare a Thegiornalisti.

La parte centrale del disco regala le prime avvisaglie di quell’indole melodica ed acustica, che nei brani elettrificati si perdeva tra le righe; così Killer Queen (e quel pizzico dei primi e lascivi Negrita) rappresenta l’episodio più leggero e succoso di Controluce, trovando la sua controparte torva ed accigliata nella caustica Mi Trascino. Confermate liriche molto profonde interpretate altresì con una rinvigorita passione in Tu chi sei, che balla tra il petulare di un basso gommoso ed il flaccido gracchiare delle sei corde. Così come la title-track, una calda ed oscura ballata che s’interroga sulle meccaniche umane, sui dettagli dei sentimenti, sulle idiosincrasie dell’anima; attraversando un’atmosfera ovattata che conferisce un’aura claustrofobica pronta ad esplodere in un chorus convincente ed orecchiabile.
Nella parte conclusiva di Controluce, ecco come Fotofobia conferma le buone impressioni fin qui ascoltate, anzi la mano viene calcata su un’emotività che si riscopre viva e volitiva; mentre il picco di tensione si tocca nella crepuscolare e riflessiva Particella Oscura, ove un arpeggio iniziale concede lacrime d’oblio che scivolano via tra ritmi rallentati ed echi spettrali: livido e malinconico commiato alla solitudine!
Controluce fa quello che dovrebbe fare un esordio: convincere senza indugi al primo ascolto … stavolta non servono tanti giri di parole! This is it …

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recensito da Poisonheart

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