Canzoni da spiaggia deturpata – Le Luci della Centrale Elettrica

Verso Vasco Brondi c’è sempre stato un personale rapporto di amore-odio (più il secondo per dire la verità, a causa di quel volumetto idolatrato da tutti, Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero), che con il passare reciproco degli anni si è tramutato in una qualche forma di distaccato rispetto. Il Vasco Brondi hipster che aveva smosso tutti i massimi sistemi indipendenti nel 2008 è oggi un artista decisamente ridimensionato (anzi, forse un po’ troppo bistrattato), ma gli va dato comunque atto che quel Canzoni da spiaggia deturpata ha in qualche modo segnato lo spartiacque generazionale della musica indie italica.
Poi c’è sicuramente da fare il distinguo tra il demo d’esordio, Le Luci della Centrale Elettrica (2007), tutta chitarra, voce e tanto lo-fi, ed invece il più patinato (seppur mantenga sempre una certa impronta grezza) di Canzoni da spiaggia deturpata ed una tracklist frullata, mischiata e ridimensionata. Sarà stata la mano di Giorgio Canali, sarà stata la produzione curata da Manuele Fusaroli, fatto sta che la prima uscita per La Tempesta Dischi ha di fatto inaugurato la splendida stagione del nuovo cantautorato disimpegnato, che seppur puerile e giovanile, è stato capace di cogliere e di portare avanti quello che la generazione precedente (Massimo Volume, Marlene Kuntz, Afterhours …) aveva lasciato in maniera disordinata ai posteri. Vasco Brondi non inventa nulla di nuovo, usa il flusso di autocoscienza e ci butta sopra un paio di accordi di chitarra, complice gli ascolti dei CCCP e della dialettica ferrettiana, conia slogan e piccole grandi immagini in cui i suoi coetanei sanno riconoscersi sin da subito, cogliendo così le istanze giuste per arrivare al cuore delle persone.

Le Luci della Centrale Elettrica - Canzoni da spiaggia deturpataLe Luci della Centrale Elettrica è uno pseudonimo perfetto per Vasco Brondi, che nelle luci soffuse del polo industriale ferrarese ritrova non solo la sua adolescenza, ma anche delle sfumature sociali e proletarie che dapprima non appaiono così delineate nelle liriche d’esordio, lasciando invece campo libero al disimpegno ed al no-sense.
Così La gigantesca scritta Coop tuona come un inno di pura nostalgia, mentre echi elettrici sfavillano di qua e di là e la voce di Brondi, sempre in bilico tra un mezzo cantato ed un mezzo rantolo recitato, urla con insistenza «e i CCCP non ci sono più», mostrando da un lato la sensibilità e dall’altro la contraddizione di una terra, la sua Ferrara ma forse anche l’intera Emilia, che non ha mai smesso di innamorarsi dell’ortodossia comunista. Eppure i tratti politici sono flebili, poiché lui, classe 1984, non ha vissuto nell’essenza quel piccolo mondo antico a cui appartengono tutte le icone e tutte le ideologie che la terra natia ha risputato fuori con rabbia e un pizzico di amarezza. Vasco Brondi, nascosto da Le Luci della Centrale Elettrica, diventa portavoce di una generazione che non sa spiegarsi il perché di certe cose o di certe situazioni, ma che indirettamente è costretto a conviverci, attraversato dai dubbi e dallo scolorimento di qualsiasi colore ideologico o politico. Così Lacrimogeni diventa la ballata di un amore perduto, o forse mai riconosciuto come tale; il fuggire dal presente diventa l’unico grande rammarico, per chi come lui è fortemente legato alla propria terra.

Piromani
accelera sul flusso di coscienza come se fosse scritto di getto in un blog, piuttosto che sullo spartito di una canzone, in sottofondo fraseggi elettrici colorano il tessuto del brano, che nella sua versione demo dell’anno precedente, appariva più crudo ed efficace. Per combattere l’acne tenta un approccio più cantautorale, la tonalità vocale diventa più affabile ma forse alla lunga forzata, mentre in Stagnola la parlata impastata coglie il punto focale che si divide tra desolazione e solitudine, coniando immagini forti ed assurde allo stesso tempo «e non capisci gli incubi dei pesci rossi», in una poetica bizzarra, ma dannatamente efficace.
La macumba di Sere feriali esplode in pause schizofreniche che trattengono una tensione da brividi, discorso simile per Fare i Camerieri, la cui effettistica di chitarra sporca un racconto quasi anfetaminico, citando le poesie di Boris Vian tra squallore e lucida disperazione. L’episodio più debole sembra essere l’abbozzo pop La Lotta armata al bar, così come non convince troppo Produzioni seriali per cieli stellati, forse proprio per quell’eccesso di linguaggio saccente e cervellotico che, suo malgrado, ne ha fatto le sue fortune come songwriter. Chiudo con Nei Garage a Milano Nord la cui decadenza sembra appartenere ad due decenni prima, anche se un pizzico di retorica, rovina le ottime vibrazioni del brano.

Le Luci della Centrale Elettrica si accendono per questo approccio nuovo alla canzone, ove i contenuti sono ben delineati ed il modo di sputarli fuori è altrettanto libero da influenze ed infatuazioni passate. La critica maggiore a Canzoni da spiaggia deturpata è l’endemica mancanza di spietatezza, come una sorta di titubanza nell’infierire il colpo mortale, trattenendo la rabbia e l’alienazione che pur vivono e prolificano, ma non esplodono mai completamente, o perlomeno non in tutti i brani. Eppure nonostante questa stordita discontinuità, Vasco Brondi disegna immagini e racconta attraverso metafore e mezzi dialoghi, la vita di questa nuova generazione, divisa da il postare frenetico su i social-network ed una latente solitudine che ne raschia giorno dopo giorno l’innocenza e l’anima.

 

recensito da Poisonheart

Poisonheart hearofglass

 

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