Canneto – Dadamatto

Follia ed anti-arte: queste sembrano le due dimensioni su cui vuole muoversi il progetto Dadamatto. In realtà le cose non stanno proprio così, la faccenda è un pelo più complessa e non di certo riassumibile in un’unica espressione: nato nel lontano 2007, il trio chitarra-basso-batteria (ma non solo!) suona, registra, auto-produce musica umorale che volteggia contraria al soffiare del vento di quel momento. Istantanee dunque; lo stile di Dadamatto lungo una carriera decennale si muove in base ai propri gusti, alle proprie manie e malattie. Ostinato, non segue (e forse non ha mai seguito!) l’onda prolungata dell’indie italico generazionale: Canneto è un lavoro misantropo alle mode, alle relazioni sociali, preferendo il caldo materno delle proprie astrazioni.

Dadamatto - CannetoInclassificabile come genere, in questo disco della “rinascita” (dopo tre anni di silenzio da Rococò) vi sono permeate influenze che vanno dall’art-rock, allo sporchissimo di chitarre fuzzose, dalla melassa di synth acrilici alla consistenza di ritmiche dal timbro ingombrante che si muovono con eleganza in una vetreria di suoni pop. A Dadamatto non piacciono le relazioni a lungo termine, così ciascuno dei cinque dischi fin qui realizzati ha un padrino discografico diverso: dalle etichette indipendenti marchigiane a sua “signoria” La Tempesta. In Canneto è la libertà d’essere a prevalere, giocando ironicamente la carta dell’autoproduzione, proprio quando tutti tentano di “bussare” all’uscio di quelle label indie che partecipano ai concerti fighi di Milano o Roma. Moderno Des Esseintes, Dadamatto viaggia controcorrente e contro tempo, realizzando un post-rock nervoso ed indisponente che si serve tanto del fioretto nell’organo, quanto della sciabola nella chitarra (Zanzare a tal proposito mostra contrasti cromatici pazzeschi). La voce di Marco Imparato gioca su tonalità pastello, lungo un percorso chitarristico -curato da Andrea Vescovi- dilatato su fraseggi minimali e riflessivi, mentre la ritmica delle percussioni di Michele Grossi batte colpi di artiglieria pesante, come nell’esplosiva Vulcano.
Osservatore esterno e distaccato, il lief-motiv di Canneto sembra essere proprio lo studio di emozioni ed idiosincrasie umane, mantenendo un distacco inflessibile come se ci fosse la paura di un contagio; eppure vi sono brevi scampoli per esperienze personali ed impressioni tanto evanescenti quanto ragionate (la title-track ne chiarisce subito l’enigmatico groviglio). L’equilibrio emotivo è perciò estremamente labile e cagionevole, tuttavia è su tale contraddizione che vive e prolifera: la claustrofobica Impero ne è -anche a livello compositivo- un efficace prototipo.

Dalle vibrazioni brit-pop Pilade (e la sua macabra ironia), ai calligrammi cut-up di Sperma, in Dadamatto convive la forza di evocare immagini molto efficaci, con un’accesa e graffiante melodia di fondo che ne esalta le spigolosità più difficili da digerire. Do-it-yourself fino all’osso, Canneto (fantastica la cover-art in stile Spiderland!) offre in dote un bagaglio musicale credibile ed irriverente nella forma (vedasi la chiusura faust’oiana di La furia, il gobbo e la miccia), creando con l’ascoltatore un feeling sottile e ricercato, che porta così a comprendere la verità di questo disco, tra litri d’ironica vanità e di provocazione. Uno schiaffo all’indie che nasce in provetta, uno pugno a chi canta il soggetto del giorno, tanto poi domani si cambia!

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recensito da Poisonheart

 

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