Born in a Room (ep) – The Wanderer

Gabriele Minchio (alias The Wanderer) ha nel punk le proprie radici artistiche, e non solo per la militanza nei vicentini SunCity Falls, ma soprattutto per un approccio libero e senza vincoli alla musica, che lo porta nel 2015 a dedicarsi ad un progetto più personale, nel quale il coraggio di un folk indipendente supera i rigurgiti e la rabbia punk. Con Born in a Room, The Wanderer (coadiuvato da Fabio Rampazzo, Marco Casarotto e Nicola Dal Lago) esordisce come avrebbe Mark Lanegan vent’anni fa, slacciandosi da logiche garage per sviscerare le proprie placide (e talvolta) amare riflessioni in ballate acustiche ben arrangiate e bilanciate.
L’amore e le relazioni interpersonali sembrano essere il tema centrale di questo extended-play emozionante e delicato, una sorta di antidoto contro le mille solitudini che avvolgono i personaggi delle canzoni di The Wanderer. La “stanza” citata nel titolo è una condizione di vita, un vincolo auto-generatosi nell’inconsistenza delle emozioni, una prigione senza pareti che amplifica quella solitudine endemica che impedisce alle persone di amare. Ecco che le vicende raccontate in ciascun brano muovono emozioni contrastanti ed in conflitto tra loro: da una parte la voglia di lasciarsi andare, un’istintiva spinta verso nuove prospettive; dall’altra la repulsione del contatto emotivo, il selvaggio senso di sopravvivenza che non vuole gettare le basi per qualsiasi legame. La speranza tuttavia incrocia e trapassa ciascuna ballata, ventilando un lembo di luce che con un mezzo sorriso, porta a guardare il futuro con maggiore serenità.
Nato come esigenza personale, Born in a Room sembra essere quell’irreprensibile voglia di voltare una pagina, nella consapevolezza che una nuova maturità è nata in The Wanderer. Gli arrangiamenti asciutti e puliti, la voce fioca di Gabriele Minchio, la sezione ritmica sospirata ed essenziale nei precisi cambi di tempo che il disco regala, sono le peculiarità di un lavoro intimo, ma nato nella spontaneità. Arazzi folk colorano una tela che nasceva lo-fi, ma che in fase di produzione si è arricchita di calde sonorità autunnali, non disdegnando di tanto in tanto la presenza degli archi, pur mantenendo una genuinità favolosamente naturale.
Born in a Room - The WandererE’ il dolore ad aprire il disco (o forse la sua funesta manifestazione), eppure The Pain suona come una ballad adulta che s’interroga e mette sulla bilancia le tante vicissitudini di una storia d’amore; la provvidenziale speranza fa la sua comparsa nel finale, in una morale che non ha difficoltà ammettere che all’amore non si può rinunciare. Se una storia rischia di finire o si trova dinnanzi ad un bivio decisivo, esistono anche storie appena sbocciate, ma nel quale l’inquietudine e l’insicurezza giocano un ruolo iniziale determinante: Cadillac parla di questo, con un gustoso retrogusto southern-rock acustico. Confinante alla stanza del “non-lasciarsi-andare” è Feather in the Wind, una lotta interiore a colpi di solitudine e rassicurazioni emotive, nel quale le pennate di chitarra scorrono veloci verso uno dei brani più ritmati e movimentati del disco. Glimmer invece è la celebrazione essenziale dell’amore, smontando di riflesso una vecchia frase accreditata a Jim Morrison «l’amore non ti salva dal tuo destino», ed accendendo un bagliore nella notte (come recita l’efficace ed orecchiabile chorus finale).
If you’re not here è l’indelebile cicatrice che rimane dopo la fine di una storia, di conseguenza l’atmosfera si fa più rarefatta e contemplativa, rimescolando amarezza e ricordi in una poltiglia lacrimante, ma capace di mantenere la giusta dignità al dolore. Dalle ritmiche surf-folk (chi ha detto Jack Johnson?) è la fresca All my Faith in you che conferma complicato e rischioso trasformare una lunga amicizia in una storia indelebile; mentre il disco si chiude con un’altra grande celebrazione d’amore, quell’amore che sa sempre perdonare e che ricuce le tante ferite della vita: Brand New Day è forse il manifesto più efficace di Born in a Room, che raccoglie quel mezzo sorriso redivivo e ci appiccica sopra la speranza.
Born in a Room (uscito per Diavoletto Netlabel) è un lavoro nato per raccontare l’amore e la solitudine, delinearne le meccaniche complesse, sfidando la facile retorica e le conclusioni scontate. The Wanderer getta le basi per un cantautorato emotivo, che si fa osservatore delle piccole storie e dei personaggi a cui è naturale immedesimarsi, rifiutando idi e slang generazionali di cui è colmo il panorama indipendente italico: le radici punk, in un certo senso, non muoiono mai!

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The Wandered bandcamp
Diavoletto Netlabel sito ufficiale

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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