2017 in musica: The Year Italian-Indie Broke ?

Questo 2017 in musica potrebbe addirittura passare inosservato: a livello internazionale ci sono state buone uscite in cerca della consacrazione del grande pubblico (Arcade Fire, St. Vincent, The National); mentre nel nostro paese, almeno nella prima metà dell’anno, s’inaugurava una piccola ma incontrovertibile rivoluzione. Non a caso il titolo scelto per questo articolo cita il documentario che per primo immortalava la scena alternativa americana itinerante in Europa, in un modo per certi versi simile. L’indie nostrano ha girovagato per la penisola (peraltro, come ogni santissima estate) sostando con insolenza soprattutto per radio e televisioni commerciali: il 2017 è stato l’anno in cui l’indie italiano ha “sbroccato” definitivamente! Gli umori e gli echi li avevamo già gustati sul finire del 2016: The Giornalisti mettevano una seria ipoteca sulla paternità di un’invasione mediata che non si ricordava dal lontano 1997, quando Tabula Rasa Elettrificata raggiungeva il primo posto nelle charts italiane, consegnando per pochi mesi a riviste e radio anche non specializzate una nuova generazione di musicisti (che con il senno di poi non hanno mantenuto le promesse di vendita). Completamente Sold Out e la sua lenta marcia verso le radio commerciali, anticipava seppur con spessore completamente diverso, il capolavoro (e Targa Tenco) di Dario Brunori, che dopo più di diec’anni di carriera trova la consacrazione di vendite e pubblico con un disco (A casa tutto bene, leggi recensione) che potrebbe entrare di diritto nei migliori 20 della storia della musica italiana. Aperte le porte della Rai e del salottino di Fabio Fazio, Brunori sembra aver mantenuto la propria flemma di cantautore dei “poveri cristi” (per citare il suo secondo disco); contrariamente a quanto fatto da Tommaso Paradiso (che forse giustamente) ha cavalcando e sta cavalcando la sua onda di notorietà. Uscite importanti per Vasco Brondi, che con Terra svolta verso suoni etnici, anche se sembra trovarsi più a suo agio con le vecchie ballate da spiaggia deturpata; e soprattutto Levante che con Nel Caos di Stanze Stupefacenti miscela melodie pop con un’intensità più livellata rispetto ai precedenti lavori. Per lei si spalancano le porte di X-Factor dietro al bancone di giudice, nella vana speranza di risultare più naturale del primo Manuel Agnelli, ma pagando la formula di un format che ormai ha fatto il suo tempo.
Nero è l’orizzonte, ove mancano nuove ed originali leve, il successo di The Giornalisti e Levante sta portando ad assecondare un mercato alla ricerca di cloni e di snaturare alcuni giovani buoni artisti che tentano con le unghie di salire sul carrozzone che passa una volta solo: i lavori di Giorgio Poi, le Gazzelle e Giorgieness seppur a tratti ispirati, ricalcano le stesse modalità di un pop piacente.
FASK forse non è la felicità 2017Nella lunga lista di altre uscite italiane 2017, cito quella che reputo un capolavoro di vita, rabbia ed intensità come Forse non è la Felicità dei Fast Animals and Slow Kids; mentre svoltano leggermente nell’intimismo pop alla “Niccolò Contessa”, i Gazebo Penguins ed il Management del Dolore Post Operatorio, a cui manca sempre qualcosa per fare veramente quel grande salto. Infine breve nota a piè pagina per il disco più sottovalutato: Il numero sette (leggi recensione), cupo ed esasperante capolavoro dei Fine Before You Came, e quello più sorprendente, Uomo, Donna di Andrea Laszlo De Simone che rielabora la tradizione della musica leggera italiana in eccellente chiave moderna.

All’estero dopo una primavera interlocutoria senza grosse uscite discografiche, veniamo scossi dai tragici suicidi di Chris Cornell e di Chester Bennington, mentre in autunno è un infarto a portarsi via Tom Petty (una macabra ironia della sorte, lui famoso nella seconda metà degli anni ’70 con i suoi Heartbreakers), una lunga malattia invece risveglia la nostalgia per gli Hüsker Dü (in concomitanza con l’uscita enciclopedica Savage Young Dü) ed il compianto genio di Grant Hart.

In estate l’hype per il nuovo degli Arcade Fire (il primo con una major, la Columbia) si rivela un boomerang doloroso, le sonorità della band canadese vengono frettolosamente etichettate come disco-pop (talvolta incomprensibili i riferimenti agli Abba!), sorte simile per l’antipatico Father John Misty che confeziona un disco elegante e lezioso, The National - Sleep Well Beastma che fa urlare di nostalgia chi lo aveva amato per I love you, Honeybear. I National con Sleep Well Beast (leggi recensione) trovano il solito plebiscito, rinfrescando il loro classico sound con leggere virate elettro-pop, mentre James Murphy ritorna con i suoi LCD Soundsystem e cala l’asso pigliattutto con American Dream che omaggia e riscrive tanto i Talking Heads quanto l’ultimo David Bowie.
Da segnalare il ritorno dopo più di vent’anni di silenzio degli Slowdive, che suona un po’ come fu nel 2013 il risveglio dei My Bloody Valentine: nostalgico e curato, una fiacca variazione a tema rispetto al buon vecchio shoegaze dei primi anni novanta!
In ultima nella seconda parte del 2017, segnalo la bella collaborazione tra gli “slacker” Courtney Barnett e Kurt Vile con Lotta See Lice (sì, ritornano Kurt & Courtney) e la svolta kitsch di St.Vincent in Masseduction, che alza ancora l’asticella verso un pop futuristico e provocatorio, ma che manca l’obiettivo principale, ossia la consacrazione come figura pop-alternativa da contrapporre ad un mainstream attualmente carente di grandi personalità. Ovazione invece per King Krule ed il suo ispiratissimo The Ooz, mentre sono da tenere d’occhio i Protomartyr con l’eccellente post-rock di Relatives in Descent.

Tirando le somme, la media qualitativa dei dischi indie si attesta ad un buon livello, tuttavia manca quel capolavoro (forse fatta eccezione per King Krule) o quella folgorante novità per cui ricordare questo 2017, tranne che forse nel Belpaese in hipsteria!

La Firma: Poisonheart

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