2016 in musica: l’Annus Horribilis del Rock

Forse avremmo dovuto capirlo il giorno dopo al 28 dicembre 2015 -quando l’iconica figura di Lemmy Kilmister ci lasciava inaspettatamente- che il 2016 sarebbe stato un anno di perdite devastanti per la musica rock degli ultimi cinquant’anni. Perciò vien da sé che l’esaltazione per l’uscita di Blackstar l’8 gennaio 2016 (leggi recensione) sia coincisa con lo Blackstar 2016shock della morte del suo eclettico autore: David Bowie è stato probabilmente l’artista che maggiormente ha influito nella cultura moderna, poiché trasversale e versatile lungo almeno tre decenni. Un’uscita di scena fantastica per certi versi, che ha lasciato increduli fans o semplice simpatizzanti: è stata l’ultima sua trasformazione!
Poi un necrologio dopo l’altro, da Glenn Frey (come riscoprire Hotel California a 40 anni dall’uscita), a Keith Emerson e qualche tempo dopo Greg Lake (amputando così il famoso trio con Palmer degli anni ’70) passando per le menti del flower-power dei Jefferson Airplane; tutti artisti che hanno dato molto al rock ed alla sua storia, ma che si erano comprensibilmente eclissati dopo almeno quarant’anni di carriera. La tragica morte di Prince e quella autoproclamata di Leonard Cohen (che comunque compone un testamento musicale in You want it Darker, dopo aver lasciato una struggente lettera di commiato alla sua “musa” Marianne Ihlen), chiudono un cerchio ove trasgressione e poesia s’intrecciano tra generi e stili diversi.

Le uscite discografiche invece si riassumono nel febbrile hype per l’uscita di Moon Shaped Pool dei Radiohead (con profili social ed ufficiali oscurati e poi magicamente sbloccati), lavoro molto fine e con un retrogusto pessimista (Thom Yorke ricorda la recente dipartita dell’ex moglie), ma personalmente a tratti troppo lezioso e saccente. Inspiegabile critica contraria per il nuovo dei Wilco (Schmilco sarà forse ricordato più per la cover art sadica di Joan Cornellà, vedi recensione), un disco che ripropone i punti di forza della band di Chicago, senza aggiungere ingredienti nuovi come avvenuto nel precedente Star Wars; come del resto con convince del tutto il pomposo e “sociale” nuovo di P.J. Harvey: The Hope Six Demolition Project è almeno un gradino sotto al rivoluzionario Let England Shake.
Graditi i ritorni di Nick Cave -con il requiem dedicato al figlio scomparso Skeleton Tree, leggi recensione-, ed il redivivo Iggy Pop con Post Pop Depression, che riesce a far apparire simpatico anche l’astioso Josh Homme, in una collaborazione ove il garage-rock di marca Stooges non sente le infiltrazioni di Palm Desert; mentre la sorpresa è il meraviglioso Woman di Angel Olsen, a mio avviso il migliore dell’anno (leggi recensione).

Per quanto riguarda l’indie italiano, oramai consolidati i festival estivi (MI AMI a Milano su tutti!), le uscite sono interlocutorie, ma sostanzialmente di buon livello- per quanto riguarda i veterani (Zen Circus, Marlene Kuntz, Afterhours con un doppio esageratamente autocelebrativo), mentre Cosmo e la sua Ultima Festa sbanca Radio Deejay e prepara il terreno per qualcosa di grosso: la musica delle piccole etichette indipendenti potrebbe davvero sbancare il lunario. Interessante anche l’esordio di Motta (con il contributo magistrale di Riccardo Sinigallia, leggi recensione), mentre Aurora de I Cani porta il faccione di Niccolo’ Contessa su qualche rivista radical chic ed un sacco di gente ai concerti (oramai i 2-3mila paganti stanno stretti). Chiudo con Completamente Sold-Out, lanciatissima e ruffianissima conferma de The Giornalisti, monopolizzando le radio commerciali.

Un annus horribilis questo 2016 che rischia di ripresentarsi anno dopo anno, poiché il rock degli anni ’70 presenta il conto con la morte, in una spirale che segue il suo ciclo naturale, ma che è davvero difficile da accettare. Con un ultimo (si spera!) aggiornamento, della morte prematura di George Michael … la lista non vuole cessare di fermarsi!

La Firma: Poisonheart

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