Alien Boy del punk: Greg Sage e i Wipers (1979 – 1983)

Come Charles Baudelaire influenzò con i propri versi la successiva generazione di poeti come Rimbaud e tutti i “maudit”, così Greg Sage con i suoi Wipers di Portland, fu determinante per tutto quello che successivamente fu a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, nell’ambito underground fino al grunge.

Ma andiamo per ordine. I Wipers, Greg Sage chitarra, Sam Herry  batteria e Dave Koupal al basso (almeno nella prima formazione di base) vengono da quella Portland che nulla ha da offrire se non un garage tirato e senza grosse pretese. 1977. Il punk negli States è oramai un affare. E in ogni singolo stato si assiste alla “propria scena punk”, ognuna delle quali prende dal punk originario quello che vuole, senza fare tanti complimenti. L’istrionico Sage mostra subito ben poco interesse al punk del momento fatto troppo spesso di sola volgarità, tanto rumore e poca sostanza. Con riff acidissimi e piuttosto semplici, una batteria petulante ed un basso corposo, tra distorsioni sgraziate e produzione sostanzialmente grezza, il gruppo s’impone come “guru” per l’intera scena di Portland. Realizzando così il proprio sound ed il proprio capolavoro d’esordio: Is This Real? (1979). Anche se l’esordio vero e proprio dei Wipers avviene con l’ep Better off Dead (1978), con l’etichetta auto-finanziata, la Trap Records. Forte è la componente indipendente e contro il mainstream che già dilagava in quel periodo; Sage si oppone al controllo musicale fatto dalle majors verso i piccoli gruppi punk; imprimendo non solo alla musica ma pure ai testi dei connotati critici e pieni di spunti di riflessione. Alien Boy, ne è un esempio versi come questi non sono buttati lì per caso:

«Go and grab your gun
Got him on the run
Cause he’s an alien
They hurt what they don’t understand»

wipers-is-this-realTenebroso è l’intro, con basso e batteria che segnano un ritmo carico e pieno di tensione. Sgraziata la voce di Sage imprime disperazione in questa canzone “alienata“. Ci sono tutti ingredienti garage, sotterranei, appena sussurrati e di indelebile ribellione. Si intravede già l’allontanamento dal punk “di moda” con l’acidissima Born with a curse; tirata ed immediata. Il tempo veloce sì, ma non alla Ramones; il sound è più articolato (specialmente nelle concessioni di  riff della chitarra) nonostante rimanga scarno e grezzo.
Celebre è D-7, che assieme a Return of the Rat fu coverizzata dai Nirvana per la compilation celebrativa della T/K Records dal nome “8 songs for Greg Sage and the Wipers” (poi estesa nella versione cd con “14 songs for Greg Sage and the Wipers“). Le versioni originali ovviamente risentono di quell’atmosfera punk-garage masticata e sputata senza mai troppe pretese. La title-track enigmatica ed immediata, ripropone il tema del rapporto personale con il mondo esterno «Sometimes I get these feelings, And I don’t know what to say».

Dalle numerose ri-edizioni del disco, la scaletta subisce alcune modifiche, più che altro nell’ordine di esecuzione, tuttavia ci sono da segnale alcuni brani memorabili. Da Mystery precisa e diretta al cuore, con quel « You don’t care about it » ripetuto nel chorus, in pieno stile punk; a Potential Suicide cupa, con un basso opprimente e la batteria che tiene alta la guardia: Sage si diletta in riff che potrei definire preistorici del grunge. Un motivetto di chitarra è da base portante per Rebel with a Cause, sincera e decisa, fa il paio ad Alien Boy: il tema dell’alienazione è sempre centrale. Da citare pure la spensierata, sia come testo che come impostazione strumentale, Tragedy: tipica songs di un punk più maturo dei soliti “I don’t care” e consaguinei. Ispirata allo stesso modo è Up Front. Una sola canzone di queste avrebbe fatto la fortuna di alcuni gruppi di punta del punk “commerciale“.

I motivi per cui questo capolavoro assoluto, ma non solo tutta la carriera dei Wipers di Greg Sage, hanno influenzato le generazioni successive sono semplici ed immediate. Il forte carattere indipendente della band, che praticamente rimarrà sempre sotterranea e legata a piccole etichette, e l’attualità dei temi trattati, il conflitto personale, la difficoltà di trovare una “better way“, l’alienazione verso l’esterno, la diversità in tutte le sue forme. Grunge vi dice qualcosa ? Beh diec’anni dopo la storia si ripete, con altri interpreti e con una diversa sorte. John Peel, il compianto dj, affermò che Is This Real? è stato uno dei più grandi album punk suonato dalla band meno apprezzata di tutti i tempi. Non possiamo dargli torto.

La personale adulazione per Greg Sage a questo punto credo sia divenuta palese, ma non è la mania fissa di un nostalgico verso quella pozzanghera punk-garage che alimentava i sotterranei di Portland nella fine degli anni settanta. Una città lontana dalla ribalta californiana e in un certo senso non interessata ai movimenti hardcore che di lì a poco avrebbero monopolizzato l’attenzione dei giovani non-allineati allo yuppismo spregiudicato, mito della presidenza Reagan. L’Oregon come lo stato di Washington non erano stati ancora pienamente contagiati dal vaiolo punk che tra il ’76-’77 aveva infettato le periferie prima e i grossi centri poi. A Seattle portava un nome e cognome: 1 maggio 1976, concerto “The TMT Show” (acronimo delle 3 band partecipanti: Telepaths, Meyce e Tupperwares). Un centinaio di spettatori scatenati, niente di più, nulla che possa finire nei libri sull’epopea del punk US. Solo il successivo concerto dei Ramones nel marzo del ’77 aprì definitivamente la stagione delle minuscole scene underground del nord-ovest.

Youth of America - WipersSe Is This Real? (1979) era la mina esplosiva che Sage seppelliva tra lo strabordante provincialismo di periferia, con il successivo Youth of America (1981), il cantante-chitarrista percorre la stessa rabbiosa autostrada sonora, lasciando a terra il cliché della canzone punk da 2 minuti. Si auto-produce con determinazione ed accompagnato dai bassisti Dave Koupal e Brad Davisdon (alla batteria Braid Nash, non accreditato come Wipers) imbastisce un sound acrilico, nel quale il punk è spezzato da lunghi intermezzi garage-progressive sempre abrasivi ed intelligenti. Youth of America è quindi una lunga riflessione sulla vita di quell’oggi, agli occhi di Sage, così confuso ed prigioniero, a dispetto di un futuro che non sarebbe mai stato del tutto sgombro da grigie nubi. Taking too Long nei suoi canonici 3 minuti sviscera una disillusione fatale «Well, I never seem to do it like anybody else», con la solita cantata sussurrata ed introspettiva trasportata dall’inconfondibile riff viscido ed iperattivo. Se in Can this Be si ritorna alle sonorità del primo disco, il colpo di mano è deciso in Pushing the Extreme, nel quale si supera il concetto punk per approdare ad una dimensione sonora più complessa, una tensione velvetiana cupa ma tutto sommato morbida nelle spigolosità create da Sage. When it’s over è un il brano più coinvolgente e carico di tensione del lato A, nel quale il piano arricchisce la melodia nervosa e lacerante che cresce esponenzialmente di vulcanica energia. Graffiante nei testi, il cinismo e l’alienazione toccano apici intelligenti, «You faked every orgasm» con una consapevole lucidità che nemmeno i cosiddetti cantautori sarebbero stati capaci di celare tra le loro liriche.
No Fair apre il lato B con una tensione raggelante, lasciando poi il resto del minutaggio alla title-track: Youth of America è il nucleo caldo della parabola tratta dal vangelo di Sage. Una dissacrante accusa verso quella madrepatria distratta dal potere, dalla tv, dalla violenza nel quale la via di scampo è impercettibile:

«The rich get richer and the poorer get poorer get poorer…
Now there’s no place left to go…
Got to get off this rot…
You don’t wanna be born here again?
»

Con questo secondo lavoro, Greg Sage non usa mezzi termini, ricicla il suo punk in un efficace garage impulsivo e ammaliante. Un disco veritiero e spiazzante come Youth of America manca davvero alla stolta generazione di internauti dipendenti da social-network come questa.

Wipers - Over the EdgeUltimo capitolo di una ideale trilogia è il secco e spietato Over the Edge (1983), un disco che torna parzialmente alle origini come minutaggio dei brani, ma invoca ballate malinconiche immerse in fiumi di garage e distorsioni . La Gibson SG di Greg Sage detta sia linee melodiche affascinanti, sia rigurgiti punk scoloriti, ben conscio che la propria musica ha oramai ben poco in comune con lo stereotipo punk. Il brano d’apertura è uno dei più amati dai pochi e fortunati fans della band, Over the Edge è una scarica di melodie scarne e orecchiabili, ruvide e sofferte su di un letto ritmico sempre pressante e intriso di una mai sopita alienazione: «Don’t do the things you do / Don’t have to oblige you», a rimarcare una santa indipendenza ed un irreprensibile cinismo di fondo.
Doom Town è la parafrasi di una Portland annoiata e senza prospettive, «Life’s so incomplete … Here on the street …. Livin’ in doom town», nel quale i Wipers sembrano intrappolati senza possibilità di fuga; ancora una volta le progressioni chitarristiche di Greg Sage costruiscono un brano dalla vena laconica. So Young rimarca se possibile il concetto, mentre Romeo è una scarica di garage puro e vagamente shakespeariano ambientato in una metropoli confusa e opprimente (fantastici gli urli «Julieeeet»), in cui il romanticismo è slacciato, rarefatto, sofferto e trucido in distorsioni di chitarra color ruggine! E’ il punto più alto del disco e uno degli ultimi della prima parte di carriera di Greg Sage; proseguendo ecco una scorpacciata di garage-punk rivisitato come in Now is the Time o nella classica No Generation Gap; la primaverile No One Wants an Alien anticipa l’approccio melanconico dei lavori solisti di Greg Sage, come del resto anche The Lonely One, ove i Wipers esplorano nuove forme di canzone, lasciando dapprima un poco confusi.

Tre dischi fondamentali per comprendere l’evoluzione della musica dei Wipers, partiti con un vagito garage non compreso dai propri contemporanei, passando tra approcci diversi, dapprima dilatando i brani, poi cercando di raccogliere tutta l’energia e di rilasciarla tra le progressioni di chitarra di Greg Sage diventate un bellissimo riparo, anche quando essere alieni diventa una scelta e non una necessità!

La Firma:  Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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