Abbiamo pazientato 40 anni. Ora Basta! – Disciplinatha

Per Jello Biafra sono stati il miglior gruppo punk italiano (o perlomeno quello che valeva la pena ascoltare), per Ferretti & Co. sono stati validi rivali in quella manifestazione musicale dell’ortodossia comunista e fascista, per il movimento punk sono stati un’irruente band che amava confondere, provocare, urlarti nelle orecchie.

I Disciplinatha sono qualcosa che il panorama musicale italiano non meritava: aggressivi, illuminati, sapevano mischiare e mistificare, usando pezzi di storia relativamente recente, ferite ideologiche ancora aperte, dogmi politici e sociali imprescindibili. Se l’andare controcorrente dei CCCP Fedeli alla Linea era rivoluzionario per il Belpaese della seconda metà degli anni ’80 (ma anche un po’ accondiscendente,vedi la firma con la Virgin nel 1987), un certo radicalismo chic di sinistra insinuava il dubbio che tutto questo fosse fasullo, alternativo a metà, creando una sorta di snobbismo di partito. I Disciplinatha, nell’apice di quell’Italia craxiana e socialista (meta per i nostalgici!), tirano fuori l’iconografia fascista, i “miti” del Ventennio e gli collocano in una musica ruvida, violenta, quasi massacrante, senza voler mai giungere a compromessi. La Attack Punk Records di Bologna coglie il chiaro scuro ideologico (aveva dato i natali ad Affinità e Divergenze dei CCCP, vedi recensione), e pubblica nel 1988 Abbiamo pazientato 40 anni. Ora Basta!. Un ep con sei rigurgiti acidi, incestuose virate di chitarra che cadono in un oblio ritmico oscuro, ove le velocità punk sono solo un clichè, ma i contenuti e i doppi significati si assorbono l’un l’altro in un calderone anti-celebrativo, nel quale la politica e l’ortodossia storica vengono demolite e ricostruite in ogni brano. Provocazione, ma anche il dubbio di fare sul serio, ecco cosa sono stati i Disciplinatha.

Abbiamo pazientato 40 anni. Ora basta! - DisciplinathaLa Bologna dell’intellighenzia di sinistra viene sbeffeggiata, e ricondotta nei propri binari di cieca assuefazione al potere (un potere “nuovo” solo di nome, e costellato da regole “ideologiche” molto rigide); i Disciplinatha prendono da esempio quello che era successo nel punk hardcore americano: le strette dimostranze su ciò che era da considerarsi punk o meno, eclissarono non solo tante talentuose band che invece non si allineavano, ma portarono già nel 1983 il movimento hardcore ad essere un privè esclusivo e schiavo delle proprie regole (vedasi come lo straight edge portò i Minor Threat allo scioglimento!).
Qualcosa di simile, in ambito socio-politico, accadeva nello stivale, ove l’esaltazione per l’apertura intellettuale della politica socialista, celava una scientifica selezione su cosa era in linea con l’ideologia o meno (manifesto che tutt’ora accade!). Quindi se l’apertura di Addis Abeba è dedicata al discorso di Mussolini che preannunciava la conquista di “un posto al sole” muovendo guerra verso l’Etiopia, irrita e fa urlare all’apologia fascista, ecco che Dario Parisini e Crisitano Santini muovono un rumore al limite tra il growl metallico e l’industrial teutonico: «A noi, a noi Addis Abeba! A noi, a noi Addis Abeba!» è una chiamata alle armi nuda e cruda.

Disciplinatha canto al potere allontana il punk con un intro quasi seventies, mostrando peculiarità pre-indistrial (White Zombie, per indenderci), il basso di Marco Maiani è una nenia lenta ed inesorabile verso il nulla, e mentre la batteria di Daniele Albertazzi lo segue a ruota, sono i proclami ironicamente auto-celebrativi (quel “Disciplinatha” ripetuto come un mantra) a fare i versaccio a quell’uso di slogan e “pravda” tipico degli antagonisti rossi.
Milizia e quel suo riff sbrodolone (machista e rozzo, ma cavolo non ti si stacca dalla testa!), percorre la via tortuosa che porta successivamente a Retorika (da notare la “k” sovietica messa lì mica a caso!) nel quale fa capolino la sigla del telegiornale della prima rete nazionale prima di svanire in un accrocco punk ove è la batteria a dare i ritmi, eppure nonostante tutto la chitarra di Parisini martella le orecchie verso escursioni autogestite e discese quasi virali.
Leopoli è una creatura grezza e meravigliosamente costruita, nel quale il groove metallico cavalca l’onda indipendente senza avere la pretesa di farne parte. I Disciplinatha sono ostici, antagonisti per vocazione; durante i concerti è un tricolore legato al microfono a destabilizzare il pubblico, mentre con vestigi militari la band scatena tutto il proprio clamore e la loro rilevanza intellettuale. I siparietti interessanti di Valeria Cevolani e Francesca Calderara ai cori fanno il verso alle medesime esibizioni dei CCCP, tuttavia l’irriverenza è anche rivolta al pubblico che spesso non coglie le provocazioni lanciate: il testimone del messaggio dei Disciplinatha è abbandonato a sé stesso non diversamente da quel tricolore legato con un nodo all’asta del microfono.
Lasciati morire nella loro delirante musica, i Disciplinatha trovano poca fortuna commerciale (ovviamente!) ma anche poca fortuna dell’ambiente indipendente; Crisi di Valori (ep del 1991) e la prima fatica su long-playing Un Mondo Nuovo (1994) cantando in italiano, portano ad estreme conseguenze (industriali ed elettroniche) quanto contenuto nell’esordio, vedasi la meravigliosa cover di Up Patriots to Arms di Battiato. L’esigenza di provarci davvero ad avere successo (complice il successo mainstream della musica alternativa) sfocia nel 1996 in Primigenia, e poco dopo allo scioglimento. Un’autodistruzione endemica ai Disciplinatha, il minuto e spiccioli di chitarra e deflagrazioni in Attacco dal cielo, ultima traccia di Abbiamo pazientato 40 anni. Ora Basta!, forse preannunciava già tutto!
Amateli, come loro non vi hanno mai amato!

 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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