A Symbolic Tennis Pot – Into My Plastic Bones

Spirito independent + do-it-yourself endemico + profonda ammirazione per la scena di Chicago della label Touch and Go = Into my Plastic Bones.
Questo trio di stanza a Torino vanta già una discreta esperienza, manifestata immediatamente nelle dinamiche dispari del quinto lavoro “in studio” A Symbolic Tennis Pot. Registrato in presa diretta e senza troppo metterci le mani, il disco colpisce per istintività ed immediatezza, ma è anche costruito con precisi canoni maturati da una discreta gavetta, giocando spesso sui cambio di tempo e su un’anti-estetica che è un meraviglioso inno alla musica indipendente di metà anni ottanta. Jesus Lizard, Big Black e qualcosa dei Melvins sono influenze che sembrano appartenere alla crescita degli Into my Plastic Bones: suoni forti, feedback sbuccia gomiti, dissonanze folgoranti e slegate da qualsiasi schema verse-chorus-verse: a Steve Albini piacerebbero di sicuro!
Into my Plastic BonesTuttavia non si vive di solo dirompente entusiasmo e quello che sorprende in A Symbolic Tennis Pot (per Scatti Vorticosi e Vollmer Industries) è la ricerca sottopelle di sonorità ed incastri geniali e sinuosi, che vanno a costruire un tessuto armonico (o forse dovrei dire dis-armonico) davvero possente e tridimensionale, merito di un progetto nato inizialmente solo strumentale. Pochi o nessun artificio nella combo chitarra-basso-batteria: unicamente un’immensa potenza ed un amore incontrollato verso il rumore, che trova nell’ironia delle liriche il suo risvolto ribelle e controcorrente. 
Dal sapore dei primi bozzetti grunge sulle rive del Wishkah, Sumizonme/666 apre cupa e pesante, mantenendo quello slang ruvido in un riff di chitarra immerso nella candeggina, mentre la successiva Overstepping Bounds è un martellante abuso di percussioni e pennate battenti, con quel retrogusto funkeggiante insolito come l’imbucato ad una festa in maschera. Cheap Canvas piace per quella sua breve insolenza genetica, Sawn s’irrigidisce istintivamente su posizioni math-rock, mentre il cantato assume i contorni di un sofferto latrato alla luna piena. Postille ed inni post-punk disseminate ovunque in queste otto tracce, che fanno degli Into my Plastic Bones interpreti veggenti e minimalisti, capaci in pochi secondi di indirizzare un brano su di un preciso binario di umori e sensazioni. La percezione istintiva è il tratto peculiare della loro frastornante proposta musicale, quindi non stupisce l’obliò strumentale nella intestina This Endless Conversation, che trova la propria naturale prosecuzione nell’isterica Supermarket Macarena dai connotati punk piuttosto pronunciati.
Con Flyby le sonorità si aprono ad un cielo meno plumbeo, risultando più squillanti ed acute senza perdere tutto loro il peso baritono; come sempre apprezzabili e cervellotici gli arrangiamenti ed i cambi di tempo, ove le velocità diventano piuttosto relative, in quanto la dinamica sta altrove. Chiudo con Ngunza che riassume in una manciata di minuti tutto il pacchetto degli Into my Plastic Bones: sezione ritmica lenta e potente e sei corde insolente e fuzzosa, per un ritorno alle origini strumentali davvero godibile.

Forse A Symbolic Tennis Pot non appartiene alla cultura alternativa italica, poiché alla melodia e all’orecchiabilità dei brani gli Into my Plastic Bones preferiscono concentrarsi sul peso dei singoli suoni, incastrando con sapienza sperimentazioni e minimalismo post-punk. Tuttavia la loro esperienza deve essere un grande monito a tutte quelle giovani band che vogliono andare oltre gli stili territoriali o le litanie già scritte e sentite: la libertà dell’independent sta proprio in questo … sì, Steve Albini approverebbe!

Into My Plastic Bones sito ufficiale
Into My Plastic Bones facebook
Scatti Vorticosi sito ufficiale
Vollmer Industries facebook

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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