8-Way Santa – TAD

I TAD di Tad Doyle sono state una delle band di punta nella scuderia Sub Pop degli esordi, il loro suono sporco e cattiva rispecchiava un po’ quelle che erano fattezze del loro “pesante” mentore: «Faccio musica grande, grassa e orribile, proprio come me e ne sono contento».
Tad Doyle è un ex macellaio dell’Ohio, trasferitosi poi a Seattle, che si vantava si essere capace di smembrare un intero bovino in poco più di mezzora; un omone di 130kg dalle maniere rudi e poco gentili era l’antitesi per eccellenza della rock star capellona e ribelle. Eppure con Kurt Danielson al basso, Gary Thorstensen all’altra chitarra e Steve Wied alla batteria, formò una delle band più eclettiche (o forse apparentemente di cattivo gusto) e rispettate dell’independent del Nord-Ovest. La Sup Pop Records di Jonathan Poneman e Bruce Pavitt decise di investire le proprie energie nei TAD, in quanto incarnavano alla perfezione quel ruolo di outsider sporchi, brutti e rumorosi, attraverso un rock sgraziato, pesante e forse non proprio accessibile. Eppure per i primi tre dischi della band furono scomodati tre produttori indipendenti di grande carisma: Jack Endino per l’esordio fracassone di God’s Ball (1989), Steve Albini per il rumoroso Salt Lick (1990) e Butch Vig per il più “accessibile” 8-Way Santa (1991).
Dopo il tour europeo del 1989 in supporto a Mudhoney e Nirvana, che vide quest’ultimi consacrarsi al Lame Fest con un’esibizione incredibile all’Astoria Theatre di Londra, le aspettative della Sub Pop verso i TAD vennero ridimensionate (se si pensa che all’inizio del tour avrebbero dovuti essere la seconda band dopo i favoriti Mudhoney); senza dimenticare gli scarsi successi a livello di marketing quando Bruce Pavitt bussò alla porta di MTV con un videoclip dei TAD, scartato per “eccesso” di peso.

8-way-santa-tad8-Way Santa (fortunati i collezionisti che lo posseggono con questa cover-art) è un disco privo di compromessi, specie quando Tad Doyle manifesta apertamente la propria allergia alla cristianità (già evidenziata peraltro in God’s Ball), ma è anche un disco che diede parecchi grattacapi alla Sub Pop. Dapprima la causa intentata dai due soggetti ritratti in copertina, che una volta riconosciutisi nella foto (immagine scovata a pochi dollari in un robivecchi) ne hanno preteso il ritiro immediato, la seconda riguardante il brano Jack Pepsi, in cui la grande multinazionale delle bollicine non garbò la citazione, decidendo di spillare qualche migliaio di dollari ad una indifesa etichetta indipendente, che rischiò la bancarotta. Grane giudiziarie a parte, 8-Way Santa è un disco meno ispido dei due precedenti (la produzione “patinata” di Butch Vig si sente) e che forse preannunciava il passaggio ad una major (la Mechanic, succursale della BMG) che porterà qualche buon disco tra il 1993 ed 1995, dalle vendite quasi inesistenti ma col pregio di non svendere la rude sonorità dei TAD.
Chitarre bulldozer, basso granitico e batteria metallara formano la combo perfetta per melodie ruvide e butterate, senza perdere una certa orecchiabilità udibile già nella iniziale Jinx. Tra grumi sabbathiani e postumi di una festa hardcore, i brani dei TAD fanno sentire continuamente la propria stazza, lungo un ascolto piuttosto lineare e senza cadute estreme nel troppo rumore o nel compromesso. Giant Killer e quel suo retrogusto da motosega in azione, ricorda i primi esperimenti garage dei Green River, l’ermetismo metallico di Wired God scarnifica tutta l’apatia religiosa di Tad Doyle, mentre Delinquent è l’esempio di come quel sound-of-seattle sia rinchiuso in canoni precisi e facilmente riconoscibili, con tanto cori di supporto a rendere il tutto vaporosamente consistente.
La lentezza d’esecuzione e l’imponenza della musica ricordano in qualche modo i Melvins (Stumblin’ Man alias una Charlie Big Potato rallentata), fatto salvo una idiosincrasia alla melodia ed all’autocompiacimento artistico. La controversa Jack Pepsi (oggi solo Jack) apre con una parlata alcoolica Tad Doyle, il quale delinea le peculiarità di mescolare Jack Daniel’s e Pepsi («Well we got out on that ice and started / Spinning around doing 360’s and 180’s all over the ice / Slugging down Jack Daniels» l’equivalente del nostro Jack-Cola?!); mentre la deviata e sibillina Candi enfatizza la grande carica evocativa dei TAD, che in questo brano confermano di non vivere di sola distorsione.

La discografia dei TAD merita un attento ascolto, specie per chi ha vissuto di grunge o chi ne rimpiange le gesta senza mai averne vissuto un secondo, non solo perché delinea quelli che erano i confini più estremi del sound della Sub Pop, ma soprattutto perché la band di Tad Doyle ha sempre meritato il rispetto dell’intera scena indipendente, in luce anche della sua non proprio fortunata epopea. 8-Way Santa non sarà mai il diamante grezzo del grunge, ma l’ironia di fondo in esso contenuta è certamente un qualcosa che è mancato ad altre produzioni ben più famose e costose della tribù delle camicie a quadri.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

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