666.667 Club – Noir Désir

Allez d’accord, n’en parlons plus
Mi chiamo Camilla e racconto della musica che riposa nel fondo della mia anima … e la condivido con voi …

La musica dei Noir Désir ha sempre avuto una forte connotazione politica, un rigurgito libero e sociale evidente nelle canzoni scritte da Bertrand Cantat, che non ha mai rinunciato a fare le barricate in difesa degli ultimi e dei sconfitti della società capitalista. E’ la Francia multietnica e mal integrata contro la Francia presidenziale ed conservatrice (un conservatorismo naïf e bucolico), in un turbinio di contraddizioni che pochi altri artisti dell’epoca hanno saputo cogliere. La carriera dei Noir Désir inizia nel 1987 con un discreto successo grazie al singolo Aux sombres héros de l’amer, portando Cantat ad un rifiuto patologico del successo commerciale, spingendo così la band a continuare una ricerca musicale fatta di arrangiamenti sostenuti che potessero amalgamare l’energia del rock alternativo con il calore di sonorità mediterranee. Pennate di chitarra rapide ed ululati di armonica entrano sempre più sovente nel dna musicale dei Noir Désir che, nel corso dei nove anni successivi, affineranno tecnica ed arrangiamenti, accanto ad una stesura poetica di Bertrand Cantat sempre più tagliente e profonda. Con Tostaky (1992) è il brano “laneganiano” Here it comes slowly ad infiammare con le sue stilettate contro il consumismo para-fascista (We can keep that beast away it still lays in its gore we’ll never stand fascism anymore), tuttavia a questo fervore farà seguito una lunga pausa di Cantat a causa della prima, di numerose operazioni, alle corde vocali. Nel frattempo entra in pianta stabile il bassista Jean-Paul Roy, che va a rivitalizzare il duo storico di chitarra e percussioni Serge Teyssot-Gay (deus-ex machina del sound Noir Désir) e Denis Barthe.

666.667 Club è quindi l’album del ritorno dopo quattro anni d’assenza, un disco dalle forti tinte politiche e sociali, ma anche un gran bel passo in avanti a livello compositivo ed armonico. Un jour en France è sicuramente uno dei brani più espliciti e critici della carriera dei Noir Désir, specie verso la progressiva estremizzazione della destra ultra-nazionalista, il tutto esplicitato in versi come Un autre jour en France / Des prières pour l’audience / Et quelques fascisants autour de 15% / Charlie défends-moi ove Cantat inneggia rivista satirica Charlie Hebdo o, nel passaggio finale, nel quale l’ombra del Fronte National sembra incombere realmente sull’Eliseo F.N : souffrance / Qu’on est bien en France / C’est l’heure de changer la monnaie. Se l’apertura con la title-track mostra ancora un certo legame sonoro con la scena underground, è altrettanto vero che contaminazioni blues incorrono a chiazze, lungo un tessuto armonico tirato, lucente e passionale, capace di dar libero sfogo sia alle preoccupazioni sociali, che ai momenti più malinconici e introspettivi.
666.667 Club - Noir DésirÀ ton étoile ed Ernestine mostrano approcci diversi per legittimare una melancholia nascosta: la prima ruggente e macchinosa nella sei corde di Teyssot-Gay, la seconda delicata ed ululata da un Cantat leggero e sicuro.
Eppure 666.667 Club rimane un disco di protesta e di monito, così Fin de siècle fa un resoconto cinico delle ultime cartucce di un secolo di sangue (Il y a qu’on nous prépare / À une énième révolution / D’ordre spectaculaire / Venez voir), tra chitarre spiritate e rintocchi d’organo elettronico. Ne segue i contorni più ispidi l’altra ballata acida di Cantat, L’Homme pressé, nel quale le riflessioni sul presente quotidiano diventano irriverenti note a piè di pagina di un fumetto satirico (Qui veut de moi / Et des miettes de mon cerveau ? / Qui veut entrer / Dans la toile de mon réseau ?)

In Lazy e Prayer for a Wanker i Noir Désir cantano in inglese, perdendo quella carica poetica ed allegorica che la lingua francese sapeva dare; rimangono due buoni brani, anche se troppo convenzionali rispetto a quanto sentito finora. A completamento è bene ricordare la fresca filastrocca di Comme Elle Vient e la nevrotica e nebulosa Les Persiennes che affronta il tema sociale delle donne velate dalla religione. A la Longue sembra tirare mestamente le somme del presente, incorniciando l’amore e la sua poesia in un contesto malinconico (l’armonica di Cantat imprime una nostalgia piuttosto tangibile) e senza troppe vie d’uscita serene.
Parentesi a parte merita Septembre, en attendant (ultimo contributo compositivo dell’ex bassista Frédéric Vidalenc), ballata struggente verso un’amore che a settembre si spegne senza troppe folate passionali, ma che ritorna ciclicamente nei pensieri dell’autore (dagli approcci dandy di J’ai tout vu, je n’ai rien retenu all’amara autodistuzione Qu’arrive la limite, chiudendo in nostalgia con il più volte rimarcato J’y pense encore, j’y pense).
Come finale bonus-track Song for JLP, lo struggente commiato chitarra e voce dei Noir Désir per Jeffrey Lee Pearce, cantante dei Gun Club.
666.667 Club è un disco rarefatto e rabbioso e tappa fondamentale per arrivare poi al successo di Des Visages Des Figure (2001), coltivando con amarezza e malinconia quel Le vent nous portera … specie per i tragici risvolti extra musicali che priveranno i buoni ascoltatori dell’arte dei Noir Désir e del suo tormentato leader Betrand Cantat.

recensito da Camilla
Camilla heartofglass

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