Waitin’ 4 the Dawn – Movin’ K

Il rock-progressivo dei valdostani Movin’ K ha in essere componenti mistiche e spirituali piuttosto accentuate, frutto di una ricerca sonora che prosegue la propria orbita ellittica intrapresa sin dal 2006. Dieci anni di instancabile militanza prog, capitanati dalle composizioni “psicho” di Francesco “K” Epiro e dalle cavalcate chitarristiche di Salvatore Gagliano, forgiando spesso lavori sopraffini e rifiniti con una sovrumana pazienza, trovando il bene placito del pubblico di genere. Al quarto lavoro, i Movin’ K s’intestardiscono con il concept basato sul viaggio (spirituale ed esistenziale), arricchendosi di sonorità calde, di archi barocchi, senza accantonare la freschezza di gingilli elettronici o della ruvidezza di distorsioni che prendono dall’hard-rock seventies le loro peculiarità.
Waitin’ 4 the Dawn si compone in tre capitoli ben distinti, delineando i passi del viaggio spirituale fatto di una moralista fall & rise, tra inferni immaginifici e paradisi ardentemente desiderati. La voce di Maria Rita Briganti gioca su diverse tonalità (dalle più calde, a quelle sprezzanti e sbarazzine), arricchendo di una quieta sensibilità gli arazzi sonori di “K” Epiro, mentre la sezione ritmica curata da Federico Mongelli e Riccardo “L” Sostene garantisce quel dinamismo eclettico, che trova nei primi Soft Machine più di qualche iniziale affinità.
Waitin' 4 the Dawn - Movin' KTuttavia non siamo dinanzi ad un intransigente inno progressive, piuttosto la capacità di mescolare generi ed approcci più attuali, rende la produzione dei Movin’ K accattivante sia nelle lunghe scampagnate strumentali, sia nelle ballate più accessibili e minimali.
La prima parte di Waitin’ 4 the Dawn è dedicata alla caduta (The Fall), in una tensione sottile ma piuttosto tagliente, costipata da un approccio rockettaro sostanzialmente scatenato, specie nel cantato (vedasi l’isterica Animal o la metodica Against) e nelle sparse jam-session a cui l’ascoltatore assiste curioso ed impaziente allo stesso tempo. E’ ancora un prog piuttosto canonico, senza troppe storpiature digitali, nel quale la band enfatizza l’asprezza di atteggiamenti e comportamenti di una società in vena di decadenza.
E’ nella seconda parte che si assiste alle soddisfazioni maggiori, The Journey è l’indagine sulle malefatte di una contemporaneità corrotta e priva di ideali “alti”, in un viaggio dal duplice scopo: smascherare l’opportunismo del prossimo, svelando piano piano tutte le verità, ma in sordina vive anche una costante e pacata purificazione che trova la sua massima espressione nella terza ed ultima parte del disco. Walk è sicuramente il monito più evidente, specie per quell’elettronica ben miscelata nella struttura armonica dei Movin’ K; proseguendo però prendono piede sonorità più tribali e selvagge, come nel singolo Beyond, la cui architettura si presta bene ad immagini evocative ed intrise di un pathos sempre crescente. Un singulto hard-rock ritorna nella pirotecnica Some Trains Never Come, una sorta di ballad sabbatica dal ritmo sostenuto, che trova nel dinamismo degli arrangiamenti la sua ragione d’essere.
L’atto ultimo del disco, la liberazione (The Release) rivela un rallentamento dei ritmi, verso una meditazione lucida ed illuminante manifestata con echi e delay soffici ed intestini. Cori messianici aleggiano come venti caldi mediterranei in All is quiet in my heart, come a tirare per la prima volta il fiato dopo la fatica del viaggio. Anche l’incipit di Frailty suggerisce una sorta di placida calma, smossa durante l’evoluzione del brano con un corretto innalzamento dei volumi e degli spessori melodici, manifestando una ricchezza di elementi che non ha eguali nel resto del disco. Ghost plana rapidamente nelle lande desolate della solitudine, svelando il lato oscuro della liberazione, capace di voltarsi in una ubriacante enfasi chitarristica appena dopo la metà del brano; mentre la metafisica The Dream is Over rappresenta il penultimo respiro prima di ritornare alla realtà di tutti i giorni.

Il viaggio è sicuramente servito, non tanto per combattere i nemici dell’ipocrisia, ma piuttosto per rafforzare sé stessi verso qualsiasi avversità che la vita presenterà da qui in poi. Il significato dell’esasperato e mesmerico cammino di Waitin’ 4 the Dawn sembra essere quello di forgiare una corazza contro i meccanismi rovesciati dell’esistenza umana, poiché i Movin’ K lo sanno bene che il dolore non si può mai azzerare, semmai si può solo aumentare la resistenza ad esso.

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Movin’ K sito ufficiale

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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