Throb Throb – Naked Raygun

A Chicago nella seconda metà degli anni ’80, nasceva un’ondata di rumore trucido e selvaggio potente come l’hardcore californiano, ma denudato di qualsiasi ideologia o etica punk:  i potenti Big Black di Steve Albini e i Naked Raygun di Jeff Pezzati ne sono stati i padroni incontrastati.
Cresciuti pressoché nello stesso periodo, i Naked Raygun nascono dai fratelli Pezzati (Jeff e Marko) e dalla possente chitarra di Santiago Durango, ma ben presto l’eclettico Steve Albini seduce con la sua nuova idea di musica Durango, che si muoverà in direzione Big Black; mentre Jeff Pezzati manterrà per qualche tempo sia il ruolo di voce nei Raygun, che di basso nei Big Black, prima di dedicarsi completamente ai primi.

Naked Raygun - Throb ThobLa rozzezza del sound indipendente di Chicago, promosso e coccolato dalla Homestead di Gerald Cosloy, catalizza la scena locale che risente non solo dell’influenza del primigenio hardcore, ma anche di qualche venatura heavy specie nell’intensità della sezione ritmica, nonché di una certa originalità negli arrangiamenti e nel rilascio ben studiato di un energia alienante dai contorni adrenalinici. Nonostante frequenti cambi di line-up, l’unica costante rimane la voce di Jeff Pezzati, spezzata e maltrattata da indelebili cavalcate di Camilo Gonzalez (spesso coautore nella stesura dei testi) al basso, o di roboanti pulsazioni Jim Colao, mentre le note più originali provengono dalla chitarra di John Haggerty, che a volte non disdegna il soffio ammaliante del sax.
Throb Throb (1985) è la prima uscita dei Naked Raygun in long-playing su Homestead e rappresenta forse il migliore esempio di quel rumore graffiante che usciva da Chicago. La cover-art (ricorda molto il videogioco “Metal Slug“) a cura di Mike Saenz (uno dei fumettisti più alternativi degli Stati Uniti) è quanto di più originale e deviato si possa immaginare, come a seguire l’andatura di una musica a tratti violenta, e a tratti grottesca. Rat Patrol è un hardcore ben congegnato, con un giro di chitarra e basso ruffiani e graffianti, accompagnato da dei whoah oh oh oh oh oh ottimi per scatenare il caos nei concerti. L’ermetica Surf Combat apre con un basso tenebroso ed una batteria sibillina, mentre il cantato segue i dettami di un ironico punk da ribellione collettiva:

«Barbecuring babies
Shish-kabob bikinis
Napalm makes you vomit
As it sizzles off your weenie
Surf combat»

Gear snocciola power-chords prevedibili, eppure così potenti e granitici da dimenticare una certa retorica già udita altre volte nel pianeta hardcore (o post-hardcore). Le aperture di basso sono quindi una costante, come il dinamismo di una batteria repentina, a creare quel connubio di cupo e veloce che permette poi alle chitarre di giocare su riff e giri iperbolici, mantenendo un’immediatezza perfetta. Metastasis è forse il pezzo meglio strutturato, grazie anche a quei cori da pogo isterico, posticipando la morte del punk oi!, mentre Leeches prende le dinoccolate dinamiche del rock ‘n’ roll per vomitare un crepuscolare hardcore dai connotati elaborati, il cui basso Camilo Gonzalez fa il bello e cattivo tempo rallentando ed accelerando i tempi a proprio piacimento. Roller Queen e I Don’t Know rappresentano il vecchio ed il nuovo, l’evoluzione è notevole se ascoltate una dopo l’altra, variando lo schema classico rabbioso punk, per concedere qualcosa di più alla fase di arrangiamento, che rimane sempre molto scarna ed istintiva.
Da citare il sax febbrile in Only in America, la cui ironia sinistra tocca genericamente un po’ tutti gli aspetti del patriottismo-consumistico a stelle e strisce «You start your own company / Only in America / Mixing chemicals a new way / Only in America», o la convincente Managua, ruvida quanto basta per sbucciarsi i gomiti.

Se il sound della band non subito grandi evoluzioni, da Jettison (1988) ad Undestand? (1989) punti massimi della carriera dei Naked Raygun, il rumore e le intenzioni sono rimaste sempre fedeli agli esordi. La musica di Pezzati & Co. ha mantenuto sempre una ferocia del tutto particolare, accompagnata però da un’onestà di intenti che nel hardcore ha avuto pochi eguali, nonostante questo in Throb Throb è possibile trovare quell’innocenza e quella rabbia pura ed incontrollata, che via via si è smarrita naturalmente, come del resto tutto il rutilante sound di Chicago.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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