Superfuzz Bigmuff – Mudhoney

I Mudhoney nascono dalle ceneri dei Green River e dall’ostinazione di Mark Arm di continuare con solo etichette indipendenti mantenendo coerente la sua visione indie. Lo seguono la chitarra di Steve Turner (con i Green River ma solo in Come on Down), il batterista Dan Peters (il batterista più ricercato di Seattle) ed il bassista Matt Lukin (proveniente dai leggendari Melvins). Preso il nome da un film di Russ Meyer del 1964 (il b-moovie Mudhoney, appunto) divenuto un cult degli anni ottanta, rappresentava perfettamente quella che era la visione della band: «Era abbastanza volgare e vagamente sdolcinato. E poi veniva dai sixities» puntualizza Steve Turner.
La differenza con il sound dei Green River è evidente: le chitarre tornano sporche e ruvide, alternando velocità e lentezza e miscelando come non mai l’irruenza ed i volumi dei primi Stooges con le dinamiche dei primi anni sessanta, in band come gli Yardbirds per esempio.

Già un fenomeno a Seattle, ben presto diventano la band di punta della neonata Sub Pop Records, con la quale esordisce nel 1988 con il fantastico 7”  Touch me I’m sick / Sweet young thing ain’t sweet no more, che condensa tutto ciò che la musica istintiva dei Mudhoney ha rappresentato. Un punto altissimo nella scena underground di Seattle, in cui chitarre veloci e sporchissime, raccolgono in eredità quel modo di fare musica che era stato lasciato nella fine degli anni ’60 a Detroit.  Tra l’altro alla fine degli anni ottanta è allarme Aids tra i giovani (vedi Bleach dei Nirvana) e il primo singolo dei Mudhoney ruggisce e ironizza con una veemenza senza eguali. Se Sweet young thing ain’t sweet no more e quella sua lentezza aliena, doveva essere il singolo principale, alla fine sarà la veemenza irragionevole di Touch me I’m sick a farne il capolavoro del grunge della prima ora. La tiratura limitata (e qualche trovata di marketing della Sub Pop, come ad esempio il vinile colorato) portò il disco all’esaurimento quasi immediato, accrescendone così il valore e l’attenzione da parte dei negozi e dei distributori. You Got it,uscito come singolo del 1989, consolida il suono grezzo dei Mudhoney (comparirà in una versione meno virulenta nel primo omonimo lp), mentre lo split  Halloween è un altro piccolo gioiello di ruvida lentezza di chitarre affogate nel fuzz.

Superfuzz Bigmuff - MudhoneyQueste sono le prime tracce che potrete trovare in Superfuzz Bigmuff + early singles, e se questi citati sono i primi singoli, passiamo all’ep vero e proprio pubblicato sempre su Sub Pop nell’ottobre 1988. Il superfuzz era un pedalaccio per chitarra ormai in disuso, mentre il bigmuff aveva avuto momenti di gloria negli anni ’70 ed era oggetto di un revival indipendente abbastanza comune; il suono che emettevano questi due pedali non era diverso da quello di una motosega, ed è indelebile nelle prime produzioni dei Mudhoney. La batteria di Peters è sempre possente (e sfatiamo il mito che fu scartato dai Nirvana, la verità è che all’epoca Peters era seriamente impegnato con i Mudhoney e non avrebbe avuto senso andare in una band, che in quel momento, non aveva neanche un contratto) ed a tratti sfocia in un puro godimento di percussioni, con sotto il basso di Matt Lukin che macina ritmiche grumose e fangose, vedasi In ‘N’ out of grace e quel perenne timbro isterico ed adrenalinico (nell’incipit «We wanna be free to do what we wanna do…» declamato da Peter Fonda in Wild Angels del 1966, riecco i sixities). Eppure il grunge della prima ora nient’altro era che heavy metal rallentato, ecco che in brani come Mudrine o If I think i ritmi si fanno lenti e narcolettici, ma carichi di indelebile energia grazie anche alla produzione potente di Jack Endino. E’ la provincia americana, è lo stato di Washington che vomita il suo senso di non-appartenenza: capelloni, machismo e birra, i Mudhoney si presentavano così! Eppure in Need c’è quello stesso disagio ed inadeguatezza che esploderà qualche mese più tardi nei Nirvana o nei Pearl Jam, se le liriche non sono di una profondità eccelsa, è il modo grezzo con cui vengono buttate là le emozioni a mettere i brividi: «Give me love laced with lies / There ain’t much, baby, I haven’t tried».

Gira il disco gira e l’ascoltatore si ritrova stordito e sudato a saltare come un ossesso (è questo che imprime Superfuzz Bigmuff al primo assaggio!), una scarica di energia talmente intensa e primitiva che i Mudhoney non sapranno mai più ripetere. Mark Arm: «Io non penso a me tanto come musicista, piuttosto uno a cui piace colpire la chitarra e tirarci fuori suoni distorti e pieni di fuzz. La mia idea, quando ho cominciato con i Mudhoney, era di rendere le chitarre assai rumorose e distorte, e le canzoni un pò più semplici di quanto lo fossero nei Green River». Chiaro ?!

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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