Steven Lipsticks and his Magic Band – Steven Lipsticks and his Magic Band

Stefano Rossetti (ovviamente e da qui in poi Steven Lipsticks) ha colto come pochi la lezione do-it-yourself, così ha creato dei suoi immaginari cloni ognuno col proprio strumento per una magica band. Quel fattelo-da-solo non ha la carica sovversiva dell’hardcore degli anni ’80, piuttosto ha l’andadura di un’innamorato della musica, poichè in questo esordio in long-playing, Steven Lipsticks ci mette l’anima, tutta quanta senza incertezze, e senza filtri la regala ad altri ascoltatori innamorati quanto lui. Recensire dischi come questo meraviglioso omonimo, è davvero un piacere poichè tutto riesce facile, genuino, puro e dannatamente indipendente.

Steven Lipsticks and his Magic BandPolistrumentista, Steven Lipsticks in 12 tracce mostra cosa può fare una cieca passione ed un buon orecchio per la musica lo-fi (Lou Barlow e i suoi Sebadoh non avrebbero saputo far meglio!). Ballate acide, ballate nostalgiche, umorismo pacato, tanta tanta vita vissuta, ritmi semplici, soluzioni immediate e soprattutto nessun artifizio, nessuna scorciatoia. La ricerca sonora è sottile, puntuale, in un pop-rock che cammina con le proprie gambe, emotivo e non cantautorale, sempre vicino all’ascoltatore, che quasi per gioco si mette a mischiare i generi ma senza mai pasticciare o farsi prendere la mano da ghirighori complicati.
Riding the Tide lascia impietriti per la calma e la capacità di emozionare, il tutto coordinato da uno straordinario equilibrio d’insieme: come fondere le dinamiche ruvide di Thurston Moore su di letto pop alla Belle & Sebastian. Il cantato dall’accento inglese ed una padronanza completa del progetto, rendono questo e gli altri brani, dei piccoli gioielli di tecnica, che rimangono tuttavia sempre avvinghiati all’idea di un lo-fi immediato e di facile presa. Dec. 8th assume le sembianze più umane di una ballata dal sapore primaverile, quel tocco agrodolce nel gioco tra le chitarre ritmica e solista, e la sensazione onnipresente di poter ascoltare ogni singolo strumento distintamente, vedasi quel basso che mai si nasconde dalle trame del brano.

In ogni traccia c’è una certa influenza, un’idea principale da cui si sviluppano tutte le altre soluzioni (un pò come le scatole cinesi, uno stile ne nasconde un’altro); vedasi il pop bubblegum di Jar of Poetry Revisited che cela un movimentato surf-rock udibile in secondo piano, oppure Stay Away from my Dreams la cui ballata sognante nasconde velleità prog nell’utilizzo di suoni di sottofondo, che non fanno altro che accentuare l’idea onirica del brano.

Se nella fugace 99” ci vedo uno splendido omaggio al rock indipendente, in Aliens Hypnotizing Me si assiste ad un progetto più articolato che si scinde in tre parti, nel quale la cupezza delle corde alte della chitarra acustica ed un cantanto lento ed “ipnotico” lascia presto il campo all’accelerare dei ritmi, approdando ad un’esperimento psichedelico ed aprendo così una voragine tra le diverse velocità dei due approcci, che nel finale collimano in un groove più elettronico, nel quale Steven Lipsticks alza volutamente il tiro concedendosi licenze estreme, ma sempre ben bilanciate.
Poi, l’amore per le ballads ritorna con White National Flag (l’approccio chitarristico mi ricorda il grande Greg Sage!), mentre nella successiva Being Together, il britpop nasce da ceneri anni ’60 tra echi e cambi di tempo eclettici ma comunque bilanciati. Nell’ascoltare questo disco, più volte mi sono soffermato sul grande lavoro di Steven Lipsticks in fase di produzione e mastering, poichè non si odono lacune o strappi, il tutto è amalgamato con intelligenza e soprattutto con un’ottima conoscenza e cultura musicale.
Chiudo a Still Riding the Tide riproposta in forma ridotta, velocizzata e sgraziata (anche se preferivo la versione ascoltata all’inizio), e Baby, You Should Know in cui l’armonica e la chitarra acustica regalano le ultime emozioni per un brano che si presta bene per essere cantato in coro e dilatato nel tempo con probabili fraseggi improvvisati.

Steven Lipsticks and his Magic Band mostra indiscutibilmente come la grande passione per la musica e la libertà di sperimentare possano portare alla creazione di un bellissimo disco, lontano dalle mode o dalle imposizioni e consigli delle etichette discografiche. Istintivo e dannatamente indipendente (Pitchfork morirebbe d’invidia nell’ascoltarlo!), Steven Lipsticks infonde speranza nelle migliaia di giovani one-man-band, poichè è possibile creare qualcosa di magnifico anche a casa propria e con i pochi mezzi a disposizione; quello che comanda è sempre la passione. Difficilmente mi spingo con lodi esagerate, ma se io fossi in Steven Lipsticks sarei davvero orgoglioso di questo suo piccolo capolavoro.

 

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recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

 

 

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