Il sorprendente album d’esordio dei Cani – I Cani

E’ stato per davvero un album d’esordio spiazzante e per certi versi sorprendente, correva l’anno 2011 e sia nella musica che nella vita di tutti i giorni passava quell’incertezza mascherata da superbia, che Niccolò Contessa è riuscito a cucirsi addosso con ineffabile intelligenza. Facile ricordare le impressioni e le opinioni che scaturirono da quel disco d’esordio composto da bozzetti synth pop più o meno originali, dosati con la sapienza che la ritmica e l’orecchiabilità dividono con estratti di vita vissuta; più difficile è ascoltarlo oggi e capire l’eredità che ha lasciato, alla luce dell’autorevolezza culturale con cui I Cani sono diventati baluardo di una certa musica indipendente e distaccata.

In quel 2011 era doveroso specificare che I Cani era il progetto one-man-band di Niccolò Contessa, giovane romano classe 1986 con un’arguzia ed un notevole senso critico, oggi indiscutibili, ma che già allora erano ben delineati ne Il sorprendente album d’esordio dei Cani. Musicalmente non assistiamo a salti spericolati nella sperimentazione, bensì un gracile, ma deciso, synth-pop fatto di slogan e proclami sonori, che ricorda molto vagamente le avanguardie pop di un Battiato in tecnicolor, se non altro per il piglio ipercritico e l’abilità di descrivere da osservatore esterno quello che accade caoticamente tutt’intorno. Roma è la vittima designata, la Roma di Niccolò Contessa una sorta di revival anni ’70 da Il Romanzo Criminale, composta da modaioli ed universitari radical chic, da spacciatori ed intellettualoidi di partito, da adolescenti agiati e nostalgici che hanno smarrito la vena combatitva. Una capacità descrittiva lucida di uno che le cose le ha viste, vissute, e che ci sguazza dentro con un certo placido piacere, eppure la repulsione e l’imparzialità di evidenziare i lati negativi di tale abbandono culturale sono altrettanto forti ed concreti. Ritornelli e mezze frasi ad alto coefficiente di immedesimazione sono lo stratagemma finale per risultare appetibile ed universale, anche a chi non conosce e vive la scena romana, un po’ come avevano fatto altri “geni” generazionali contemporanei, da Andrea Appino passando per Vasco Brondi (citato dallo stesso Contessa in uno dei brani di questo disco!).

Nel corso di questi cinque anni, I Cani non hanno cambiato approccio alle parole, generando la sospirante delusione di chi li aveva esaltati anche dopo Glamour (2013), nonostante Contessa abbia limato e modellato il suo modo di scrivere con velate sfumature decadenti ad un apparato pop per le masse. Aurora (2016) lo ha confermato come una voce che bisogna lasciar parlare, spesso anche quando gli interlocutori sono gli stessi radical-chic di sinistra ampiamente bacchettati nei suoi testi, paradossi italici, paradossi un tempo circoscritti nella sola scena indipendente.

Oggi quindi ascolto Il sorprendente album d’esordio dei Cani come se fosse per davvero la prima volta, ed il risultato è per davvero incredibile, poiché alla luce della recente (e probabilmente futura) esplosione dell’indie italico sulle piattaforme nazional-popolari, i contenuti di Niccolò Contessa assumono forme inaspettate e perfino profetiche.
Il sorprendente album d'esordio dei Cani - I CaniTheme from The Cameretta apre in maniera confusa, come se dovesse rappresentare qualche avanguardia non ben decifrata (compresi gli echi da videogames che personalmente mi hanno sempre ricordato i temi midi del primo episodio di Super Mario), il brano avrebbe meritato un qualche approfondimento ed una maggiore profondità, specie in talune soluzioni elettroniche perlomeno orecchiabili. Hipsteria invece rappresenta per molti (oramai ex-universitari) uno degli inni post-adolescenziali per eccellenza, toccando, come i puntini della settimana enigmistica, tutta la “isteria” generazionale: da un post su facebook con Daniel Johnstone, alle pagine di diario scritte su MacBook Pro, passando per il verso più originale dell’album «Andrò a New York a lavorare da American Apparel / Io ti assicuro che lo faccio, o se non altro vado al parco e leggo David Foster Wallace», mimando quella finta voglia di andare all’estero per lavorare.
Eccellente e ruffiano, Contessa mischia le parole con sapienza, trascurando coscientemente la componente musicale, tracciando così una sorta di alienazione e teenage angst meno romantica e più materialista. In Door Selection il guaito de I Cani si fa decadente e lascivo, mentre aspetta una fantomatica fila che non si muove mai, eppure l’attesa di entrare è fasulla e svuotata del suo pathos: quello che c’è dentro lo si conosce già! Velleità fa un impietoso confronto tra generazioni a scarto di diec’anni, evidenziando un degrado morale che corre pari pari alle mode ed alle tecnologie: spassoso l’elenco di figurine professionali che entrano in questa degradata arca di Noé, che sfocia poi in un finale da cantare in coro «I gruppi hipster, indie, hardcore, punk, electro-pop. I Cani».
Le Coppie e Il Pranzo di Santo Stefano certificano la pausa di metà disco, nel quale un certo minimalismo emozionale (e pure musicale, specie nella seconda) tocca la sfera affettiva, mantenendo le giuste distanze tra l’indifferenza e l’analisi critica; Post Punk invece posa di striscio le ali sulla scena musicale, ottenendo un buon riscontro specie quando l’elettronica si fa più vispa e dinamica. Il bassista quarantenne pederasta e non realizzato descritto nel brano potrebbe benissimo appartenere alla generazione di Nanni Moretti in Ecce bombo, specie nel suo approccio verso gli adolescenti liceali, col quale cerca qualche una sorta di dialogo ideologico, velando appena il viscido e disperato pretesto sessuale.

Originale e acuto, Contessa (fatto salvo per l’intramezzo di Roma Nord) cala finalmente il tris finale, rimarcando comunque le tematiche già sviscerate nel resto del disco.  I Pariolini di diciott’anni è forse il brano più efficace, capace di scattare una polaroid precisa su quella giovane borghesia di destra, riscrivendo (forse incoscientemente) una mezza “La Dolce Bellezza” fatta di cocaina, motorini rubati e filmini erotici, definendoli con pizzico di invidia «Loro sono gli ultimi veri romantici». Veloce e scattosa è Perdona e Dimentica, nel quale I Cani alza l’indice ed ammonisce i poteri alti, risultando però a tratti prosaico, nonostante la facilità d’assimilazione di un brano, che se meglio sviluppato avrebbe potuto risultare più graffiante. Chiudo con Wes Andreson e quel tono agrodolce delle liriche affogate in un cocktail musicale isterico e vorticoso (peccate per il precario finale!), così la nostalgia assale l’ascoltatore mentre scopre che le differenze chiaro-scuro non esistono per davvero, e che la vita è una giostra grande e gli opposti alla fine tendono ad annullarsi reciprocamente.

Il sorprendente album d’esordio dei Cani ascoltato oggi non è poi così lontano dall’impressione del giugno 2011, eppure sopra Niccolò Contessa aleggia una sorta di corona d’alloro intellettuale, seppur le immagini di allora e di questo disco in particolare fossero più efficaci di quelle dei lavori più recenti. E’ vero anche che il tono e il modo di porsi è facilmente ritrovabile anche in altri artisti, e che in fondo le tematiche post-adolescenziali sono sempre quelle, che tu viva a Roma, a Ferrara o Pisa; eppure ne I Cani riscontro in misura maggiore, la voracità descrittiva e l’analisi pseudo-critica, piuttosto che il mero ruffianesimo indipendente. Sarò forse offuscato dal fatto che oggi Niccolò Contessa è un artista sulla bocca di tutti e non solo sulla bocca di qualche hipster?!

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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