Socialismo e Barbarie – CCCP Fedeli alla Linea

 

«I soviet più l’elettricità non fanno il comunismo» e nemmeno un manifesto di propaganda dico io.
Nonostante citazioni, storpiature celebri ed un simbolismo maniacale, Socialismo e Barbarie (in antitesi con il Socialismo o Barbarie di Rosa Luxemburg, anno 1915) è tutto tranne che un riflesso politico di fine anni ’80, ma se siete veri seguaci di CCCP Fedeli alla Linea questo lo sapete già.
Il secondo album di Ferretti e Zamboni mantiene alla parvenza una spiccia continuità di fondo con il precedente Affinità e Divergenze (1985), se non altro per la velocità retorica con la quale vengono sparati via i primi quattro brani della scaletta (affinandone tuttavia i limiti più cupi ed estremi); ad ogni modo fa anche intravedere, e per taluni fans con disgusto, quale sarebbe stata la direzione artistico-politica della band se avesse seguito religiosamente le orme del punk sovietico in salsa emiliana.
Abbandonata così la bandiera rossa (e perso Umberto Negri) nel quale è stato avvolto il punk virulento dei primi anni ’80, sfregiato, morto e sepolto dalla nuova onda di rinnovamento delle emittenti private (sì, sì, avete capito!), la band, tra gli alti ed i bassi del proprio mentore dalla cresta colorata, percorre il proprio labirinto musicale tra le ultime reliquie del socialismo, sentori cattolici e fragranze d’oriente. Poi è vero, se volete trovarci un difetto l’orecchio, a volte scivola troppo sul piano radiofonico, effetto major evidentemente!

Socialismo e Barbarie - CCCP Fedeli alla LineaInfluenze mediorientali, già espresse nella primigenia Punk-Islam, ritornano con nuova linfa in un’ispirazione tanto disperata quanto lucida, mostrando un Ferretti alienato ed ai confini dell’isolamento, che muore, rinasce, si decompone, spicca il volo e svanisce in una nuvola cobalto.
L’evoluzione del disco appare piuttosto lineare, e senza gridare alla blasfemia lo si può definite il primo concept dei CCCP Fedeli alla Linea. Se A ja Ljublju SSSR, che apre il lato A, mantiene caldissima e nostalgica l’iconografia russa (tanto che in un concerto del 1989 in Unione Sovietica, il pubblico composto tra gli altri da militari si alzò in piedi in ossequio all’inno nazionale), le successive Per me lo so e Tu menti, riprendono quel punk svelto ed adrenalinico degli esordi, ma senza troppo nascondere l’ironia critica del punk quello vero (o presunto tale) dei Pistols (Liar vi ricorda niente?!). Con Rozzemilla si chiude in un certo senso un ciclo, quello che verrà dopo è tutto terreno incolto, inesplorato, a tratti duro e freddo, a tratti celestiale.
Stati di Agitazione è un inno narcolettico verso una wave cristallina che puzza di Berlino e mostra il lato più oscuro di Ferretti nel quale almeno una dozzina di interpretazioni mescaliniche si sprecano. Le prime 6 tracce rendono già questo disco un ottimo lavoro, eppure tra il palato serpeggia una sorta di insoddisfazione: dai CCCP ci si aspetta sempre quel colpo di genio, quel vizio dello slogan, del motivetto da mandare avanti e indietro nel cubo della mente. Esempi?

Qualcosa più niente, qualcosa più di nienteeeee

Voglio odorare il sapore celeste del ferro, voglio sentire il profumo sanguigno del fuoco: esiste lo sooooo!

Sei tu, sei tu, chi può darti di più

Eri così carino, eri così carino pigro di testa e bene vestito!

… contengono tanta verità quanta nessun altro artista abbia mai saputo fare.
Così dall’isteria di Stati d’Agitazione si passa come un risucchio d’anima alle nuvole barocche di Libera me Domine, un intramezzo che preannuncia quello spiritualismo ferrettiano tanto criticato oggi: è la conferma che c’è sempre stato, cari fedelissimi militanti ortodossi!
Nel lato B Manifesto è uno dei punti più alti del disco, grazie ad una tensione elettrica che trasuda nella pelle, fino a trasformarsi man a mano ad un viaggio tra i rioni d’incenso dei bazar di Damasco o di Istanbul. Lo stesso confitto onirico-sensuale si riafferma in Radio Kabul, uno dei brani personalmente più amati: il raccontare per immagini quelle terre rende l’idea di una dimensione che supera la semplice canzonetta melodica.
Il resto viene come viene, se in Sura si esagera con l’effimero eclettismo, quasi un esercizio di bella calligrafia strumentale, in Hong Kong e in Inch’Allah – ça va si percorrono altre strade, con fortuna alterna: meglio la seconda, decisamente!
Nella ristampa su CD due bonus track da non disprezzare: Oh, Battagliero! uscito come singolo nel 1987 e buona per tutte le feste dell’Unità a venire, e la sorprendente ed antropologica Guerra e Pace.

Socialismo e Barbarie è un ottimo disco, un mezzo segno di continuità rispetto al primo piano quinquennale; con i suoi tragici difetti e le sue fumanti qualità, rappresenta il vago compromesso verso l’industria musicale, portando progressivamente i CCCP verso l’istituzionalità indipendente (nonostante le comparsate in RAI), rimarcata nell’indeciso e non del tutto compreso Canzoni, Preghiere, Danze del II Millennio – Sezione Europa (1989) del quale è bene citare il singolo Madre. Gli anni ottanta esauritisi, portando alla disgregazione sia il comunismo che le velleità di Ferretti e Zamboni, che chiuderanno l’esperienza CCCP Fedeli alla Linea con Epica, Etica, Etnica, Pathos (1990), o forse dovrei dire iniziano quella del Consorzio Suonatori Indipendenti.

 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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