Signals – Nrec

Sotto la sigla Nrec si nasconde un progetto molto ambizioso, complesso e ben tornito che danza sulle note dell’elettronica mininale di Enrico Tiberi. Vaneggiamenti elettro-pop scarni ed essenziali, ma intrisi di enfasi in un disco, Signals, a cui partecipano tanti ospiti e tante voci, colorando così i nembi elettronici con tonalità più sofisticate. Nrec in questo suo percorso viene affiancato da Daniele Strappato nella parte che concerne la stesura dei testi,  imprimendo in alcune tracce un deciso sapore anni ’80 che a tratti aleggia e staziona dentro le nostre orecchie durante l’ascolto delle 10 tracce di Signals.
Nrec - SignalsTuttavia non stiamo parlando di mera nostalgia verso synth pop o elaborazioni midi, ma di un’amalgama piuttosto elaborata che, se in parte custodisce gelosamente alcuni elementi di quell’elettronica pionieristica suonata, è capace e consapevole di espande i propri orizzonti valicando i contorni pop, minimal e talvolta dark.
Enrico Tiberi dotato di naturale inclinazione poliedrica, passa dall’essere un buono studioso di musica ad ottimo trasformista di generi (alle spalle diversi progetti che spaziano dal metal alla sperimentazione psichedelica), ed in questo disco decide di dosare con acume un’elettronica meticolosa accanto a liriche piuttosto esigenti, nelle quali si tenta di svelare l’ingarbugliata meccanica della comunicazione, togliendone via via quegli strati che non ne consentono la corretta comprensione. Il messaggio di Nrec è chiaro e certamente pretenzioso, poichè si pone contro quei massimi sistemi di controllo a cui tutti noi siamo assuefatti e felici; eppure il suo tentativo mira a ritrovare l’uomo nella sua essenza più rude e grezza (quasi animale), quell’uomo che ha perso il contatto con la natura ed il mondo esterno oltre la metropoli.

Dust tradisce le aspettattive elettro-pop dei nostalgici; la sua apertura acustica e ruvida racconta una bellezza in bilico tra beat impersonali e corde di chitarra che pizzicano, in questo spazio s’intrufolano effetti synth e soluzioni di disturbo che rendono il brano etereo, ideale per veicolare il tema trainante del disco.
Eyedressed con la sua andatura tardo anni ’90 (ascoltabile anche in Emina/Utica) rievoca atmosfere più rarefatte, grazie anche al gioco di voci sempre efficace nel dare ulteriore dinamismo al brano; mentre in Videodrome è l’euro-dance più invadente (passione estrema di Davide Strappato) a rendere limpido omaggio al capolavoro del ’83 di Cronenberg (con James Woods e Debbie Harry): una soluzione inaspettata per l’ascoltatore che ansimava ancora verso movenze più emozionali, tuttavia l’eclettismo di fondo viene equlibrato dalla mano ferma di Nrec, quindi il tutto non infastidisce il buon gusto.
Still, vede la collaborazione di Anacleto Vitolo (Av-k, K.Lone, Manyfeetunder), e continua quel dialogo mininale tra elettronica ed elementi acustici già sentito all’inizio del disco, e che sembra essere metafora sull’apparente difficoltà nella comunicazione tra mondi opposti (ma anche un conflitto naturale-artificiale che idealmente può toccare significati più reconditi); mentre I don’t know where I’m echi roxyani enfatizzando un senso di straniamento ed un introspezione che tocca qui i massimi livelli.
In It’s mine (alla voce Kenda Black) è la sperimentazione a farla da padrona, in un paragrafo midi capace di isolarsi dal contesto del disco con un approccio più da ball-room; mentre in Dig Deeper è la voce di Claudio Nigliazzo (Iori’s Eyes) ad infierire sulle corde di un’emotività già portata ad estreme conseguenze dal languido tocco di pianoforte.
Chiudo con Signals e quel suo impatto gutturale che naviga tra elementi dub ed un’approccio lontano dalle nostalgie ottantine, e che evidenzia come la materia elettronica, se sapientemente dosata, possa essere meno fredda e più comunicativa di quanto, noi profani, siamo leciti aspettarci.
Produzione limata e ben curata (disco coprodotto da Fabrizio Testa) per un progetto a tutto tondo, che oltre alla musica comprende anche poesia (ed in un certo senso le liriche di Strappato lo sono) ed arte figurativa. Infatti nel package del disco, presenziano le tavole a tinte forti di Marco Amato (vedi sotto), che così accompagnano l’ascoltatore verso questo complesso viaggio introspettivo alla ricerca di sé stessi e di cosa è rimasto oggi dell’uomo moderno: Signals, proprio per questo non è un semplice disco di musica elettronica … è un disco umano!

I - Senza (Marco Amato)

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recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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