Senza Fare Rumore – Sylvia

Questo disco contiene il profumo del mio giardino d’infanzia, lo scricchiolio del pianoforte
della casa dove sono nata, il tonfo del vuoto e della perdita. Sembrerebbe un mucchietto
di buio pieno di silenzi, eppure è il luogo migliore dove rifugiarmi

Ho deciso di aprire con queste parole di Silvia Tofani (alias Sylvia) proprio perché mi sembrano talmente chiare nel descrivere Senza Fare Rumore (INRI), da oscurare qualsiasi altra mia sciocca presentazione. La sensibilità e il tocco sottile della musica di Sylvia, hanno qualcosa di davvero delicato e magico, tanto da riuscire ad immaginare quel rifugio (perché ognuno di noi ne ha uno) nel quale scaldarsi e tenersi stretti a volte diventa una necessità.

Ho dei buchi nella tasche, ma ti giuro non ti perderò: Fotografa e buona scrittrice di sensazioni, Sylvia esordisce nel 2012, ma è con Senza Fare Rumore e quel misto di elettronica e poesia che si fa notare come una delle uscite più interessanti ed emozionanti di questo 2016. Otto brani sospesi tra archi rarefatti e beat digitali, mentre il gioco delle voci e dei cori scivolano via come brividi freddi lungo la schiena: una livida passione endemica per curare e lenire le ferite dell’anima. Tuttavia, è un disco intitolato alla dolcezza ed all’intransigenza del silenzio, cercato e riprodotto attraverso una sospensione sonora ed a una tensione liquida diluita in litri e litri di lucida malinconia. Lo chiamerebbero dream-pop dall’altra parte dell’oceano, e tuttavia sarebbe improprio, poiché Sylvia non è solo echi e ritardi, suoni cristallini ed acuti sommessi: è viscerale femminilità ed un senso del dettaglio sorprendente ad innalzare questo disco i tanti (forse troppi) esperimenti elettro-pop emozionali.

Sylvia - Senza Fare RumoreNon mi venite a dire che la luce è sempre docile: La voce di Sylvia è forse l’atto più appariscente ed il primo che accende l’attenzione, sarà per quel suo modulare le parole in modo da renderle quasi sospese e singhiozzanti, mentre una nenia talvolta acida, talvolta benevola, incombe come sonori nembi scarlatti sopra le nostre teste. Una capacità di rendere la musica traballante, quasi fragile, a confondere l’ascoltatore, che tuttavia si trova dinanzi a testi forti e parole che respirano vita; eppure il risultato finale è un atto di estrema dolcezza, solitudine e lieve nostalgia: l’encomio tacito al silenzio.
Si Ck è un brano attraente e rivelatore (registrato nel 2015, uno dei primi per questo disco) complice anche quel rincorrersi di cori diluiti e sospesi che si ripetono ossessivamente come una sorta di mantra. La musica mantiene un lieve contorno, quasi a non voler infettare la tetra sacralità di un brano che seppellisce il passato, ma che forse per davvero non lo fa mai, amplificando quel senso di smarrimento che i cori portano come un vento sottile e gelido. Pozzanghera è il secondo singolo estratto e mostra una teatralità sinistra evidenziata dagli archi lontanissimi che si scontrano con battiti di mani e algidi beat digitali, mentre l’uso dei cori lavora sottopelle a sporcare quelle atmosfere liquide dettate dagli effetti di contorno. La ricercatezza è sicuramente un fiore all’occhiello di una produzione pulita e curiosa di sperimentare giusti gradi di minimalismo musicale, una squadra che, oltre a Sylvia, ha in Francesco Fabris e Sandro Mussida due assi importanti.

Rintocca un pianoforte in Sotto il Cielo, e sembra davvero pioggia quella che cade dalle labbra di Sylvia mentre “Volare Sorgere Solo per me” vengono ripetuti con una delicatezza da preghiera sincera; in Luce invece i bordi si fanno più ispidi, complice un’elettronica tribale, ruvida e gutturale che asseconda il senso di vuoto che il brano propaga. Eppure le liriche parlano di una rinascita spirituale, che non risparmia dolori e bruciature, ma che nel finale s’elevano per davvero verso l’alto, librandosi sofficemente in volo grazie a synth angelici e veggenti.
L’apertura di Mela F non si toglie di dosso una certa tensione nervosa (quasi stanca e volitiva), ma che canta una languida dicotomia tra forza e debolezza, mentre le dinamiche sembrano intonare una danse macabre di dantesca memoria. Quasi Agosto semina lungo il percorso domande davvero difficili da spiegare (“È follia rimanere da soli pensando che sia normale?“), ma che in realtà fanno parte del nostro quotidiano nascosto, la solitudine viene trattata come un’amica sincera, sapendo benissimo che è da lì che si propaga sia il dolore che la cura; bellissimo il finale nel quale la sospensione elettronica regala raggelanti emozioni.

Ho imbrattato le mura con una lacrima: Da Me si confida come una filastrocca malinconica sulla lontananza e la distanza, la cui sincerità è disarmante quanto intrisa di lacrime che per davvero hanno rigato il viso; finale ermetico con il verso “Cade Senza Fare Rumore Tutto Intorno Muore” con quale vive e prospera Insonnia, svelando in poche parole il senso dell’intero album e di un bel pezzetto di vita.
Senza Fare Rumore è un disco sincero e delicato, che viene interpretato con il coraggio di chi non vuole nascondersi dietro facili emozioni. Lividi, lacrime e paure sono vere e tangibili, in un inno verso il silenzio che non aveva mai assunto sfumature così emozionanti e pure.

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recensito da Bambolaclara
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