Rosemary Plexiglas – Scisma

«Forme nuove
forse inventerò
illumino di plexiglas
le mie sculture jazz
che sono come me
che sono dentro me»

Sarà stato il 1999 o più probabile i primi mesi del nuovo millennio, quando ancora adolescente i pomeriggi si svolgevano tra TMC2 e Mtv a cercare qualche bel video da registrare in vhs. Tempi abbastanza remoti a pensarci, però genuini! Beh, fatto sta che in uno di quei pomeriggi nebbiosi, chi vi scrive fa la conoscenza degli Scisma e di un videoclip che passava ogni tanto, Tungsteno tratto dal capolavoro di stile quale è stato Armstrong (1999). Era una musica nuova, nonostante in quel periodo di sonorità buone ce ne fossero anche in Italia, eppure aveva qualcosa di poetico e chimico che gli altri non avevano. Lo spazio nel quale giocavano gli Scisma era ampio, anche a detta dello stesso Paolo Benvegnù, e la sperimentazione sembrava molto più concettuale ed attenta degli esperimenti più commerciali di Bluvertigo o Subsonica, ad esempio.

Scisma - Rosemary PlexiglasInoltre l’alternarsi delle voci di Benvegnù e Sara Mazo rendevano gli Scisma inconfondibili; il mio orecchio all’epoca non era così affinato, ma oggi riascoltandoli non si può che rimanere stupefatti dall’alchimia sonora e da un eclettismo genuino e privo di quel manierismo naif che rende antipatici certi artisti geniali. Gli Scisma invece mantenevano le giuste proporzioni e le loro canzoni ti si stampavano in testa per non uscirne più; c’è l’improvvisazione del jazz e la precisione di un sonetto acido. Rosemary Plexiglas è quindi il primo disco maturo ed omogeneo degli Scisma (ricordo anche il buon acerbo Bombardano Cortina del 1995), vuoi per lo zampino di Manuel Agnelli alla produzione, vuoi perché il 1997 è uno di quegl’anni ove tutto riesce bene e convincente, il terreno è fertile per il brulicare di idee e nuove forme d’espressione, e tutti sembrano attenti e ben predisposti ad assorbire quell’energia.

L’approccio libero alla musica, l’affezione all’eletronica ragionata, testi mai sentiti prima nel panorama italico e quel duello di voci nel quale Sara Mazo vince sempre, ma Benvegnù in background piace eccome. E la loro musica mi fa anche digerire quell’uso senza pudore dell’inglese e dell’italiano nel medesimo brano. Rosemary Plexiglass apre il disco ed ascoltata ancora oggi richiama come indelebili quelle belle sensazioni del secolo scorso, quando la vita era meno tecnologica e la poesia di una canzone ti toccava per davvero, senza bisogno di esercizi vocali o lezione di stile; uno di quei brani manifesto che entra tra i ricordi e si lega indelebile ad un momento particolare della vita.
Proseguendo, PSW si presenta come una macumba sinistra, dall’onesto flusso di coscienza che prende in prestito le consuetudini a cui nel quotidiano non facciamo caso, per ricomporle in uno schema confuso nel quale è il piacere della sazietà a vincere. La chitarra pumpkiana di Diego De Marco non deturpa i fraseggi più rock del disco, Completo e Negligenza giocano sui volumi e sulle dinamiche della sei corde, mostrando forse meno originalità di altri brani, ma vincendo alla distanza come impatto sul pubblico. Il basso ipnotico di Giorgia Poli e gli effetti delay di chitarra rendono il brano Golf, come una confessione stonata nel quale Paolo Benvegnù ci mette l’anima ed un pizzico di onirismo.

La scelta di avere liriche così intense da inzuppare in grumi sonori densi si rivela un marchio di fabbrica eccellente, eppure l’energia e le distorsioni non mancano. In 84 (la mimica orwelliana è un nembo onnipresente sulle nostre teste) l’oppressione delle dimostranze di Benvegnù «senza negazione giovane e malato giovane e padrone, anestetizzato killer senza guanti immatricolato killer senza un nome» sembra non lasciare scampo alla luce, che però d’improvviso s’accende con l’abbassamento dei volumi e con la voce eterea di Sara Mazo che ci lascia intontiti con la sua speranza verso il ripudio di una distopica condizione umana «rapidamente fisicamente gravito più lontano di me». E’ la visione profonda degli Scisma che colpisce per ricchezza di concetti e di pensiero; più vicini ad un Battiato in meditazione che ad una band che alla foce degli anni ’90 irrompe la scena con una sperimentazione delicata.
C’è spazio per diverse forme di approccio; dal funky felino e malato in Videoginnastica, alla ballata colorata di pianoforte in L’Equilibrio, alla suite jazz-rock di Nuovo nel quale un violino lontano dialoga col wha-wha della chitarra: ognuno può scegliersi la sua preferita.
Chiudo con la preghiera di Poco incline ai R.F. che fa trasparire una bellezza che prende forma concreta nella voce di Sara Mazo, in un brano da camera sperimentale ai limiti della psichedelia più lungimirante «vergine bambina, martire io credo». I brividi non si trattengono e nemmeno la voglia di riascoltare questo primo capolavoro.

Rosemary Plexiglas rispetto al successivo Armstrong mantiene un approccio più istintivo, ove la ricerca si scontra spesso con l’esigenza della spontaneità, trovando spesso un equilibrio che nelle prove successive ogni tanto viene a mancare. Innegabile che con Armstrong, gli Scisma abbiano alzata l’asticella, in un disco che ha pochi difetti, ma che forse può apparire distaccato e meno radiofonico per merito/colpa di soluzioni più complicate agli orecchi meno esperti.
Autunno 2015 gli Scisma tornano … mi sto già sfregando le mani!!!

Ascolta Rosemary in Plexiglas qui

 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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