Questa Terra – Via Lattea

Polaroid in musica di quest’epoca ne sono state cantate tante; alcune efficaci e focalizzate su delle problematiche reali, altre facinorose ma allo stesso tempo approssimative: l’esordio dei Via Lattea, grazie al cielo, appartiene alla ristretta élite della prima categoria.
Figli di un cantautorato sociale ed intelligente, il quintetto originario di Siena, elabora partiture dense e corpose concedendo alla parola significati ed allegorie molto forti, senza rinunciare all’orecchiabilità della forma canzone standard. Sonorità amalgamate e mature sono frutto di una intensa attività dal vivo e di una ricerca di armonie e chimiche che non si ferma alle prime buone intuizioni, i Via Lattea vanno fino in fondo nell’approfondire melodie e vocazioni sperimentali. Circoscritti nell’area della ballata folk-rock, la band mostra peculiarità già piuttosto consolidate nella line-up attuale: dalla voce profonda e rauca di Giovanni Rafanelli, alle chitarre acriliche di Savino Minerva e Giovanni Coiro, il tutto sorretto con intensità dal groove randagio della sezione ritmica a cura di Andrea Pennatini e Luca Miano.
Via Lattea - Questa TerraQuesta Terra è così l’esordio in long-playing che manifesta tutta la voglia di comunicare dei Via Lattea, un’esigenza impellente di raccontare la modernità di questo millennio divisa tra passioni ed indifferenze, che con disinvoltura si scambiano di continuo ruoli ed umori. I personaggi così coinvolti in tale giostra, assumono contorni apatici e quasi schizofrenici, ma sono proprio coloro che meglio vivono tale contemporaneità, poiché abili a cavalcarne le onde emotive. Un disco tuttavia aspro e cinico in alcune espressioni, che non fa che rivangare quell’insoddisfazione posata dell’artista, perennemente diviso se scontrarsi o abbracciare tale realtà. La Babilonia cantata nell’apertura di E’ arrivato l’inferno, è la metropoli cosmopolita la cui epopea storica si è consuma lungo i bordi, ed i cui abitanti -senza memoria- vivono le emozioni come se le cadessero addosso, mostrando un adeguamento umorale che sa di lotta alla sopravvivenza. La riflessione scatta quando un bambino puro di cuore, divenuto adulto, affronta tutto questo caos controllato, diventando lui stesso parte dell’ingranaggio, a cui la propria ingenuità l’aveva finora sottratto e protetto: «Gli hanno dato un cappello ed una giacca militare il fucile le stelle e un nemico cui sparare». Oltre ad un’immediata morale deandreiana, c’è un cinismo recondito che trova il suo howl in Questa Terra, elencando ogni piccola ipocrisia ed una rediviva esaltazione dell’indifferenza come unico valium per tirare a campare e chiudere gli occhi dinanzi alle ingiustizie («I generali che conquistano il sole che se ne fanno del mondo?»).
Sottopelle vive un pessimismo sociale alla Giorgio Canali, con cui ha da spartire il difficile rapporto con le emozioni: in Parole d’amore, tutto questo si manifesta solo in condizioni estreme come una guerra, mentre in Un angelo, è l’egoismo ed il sacrificio di chi è partito a generare le confuse riflessioni di chi è rimasto. I contrasti ed i chiaroscuri si materializzano in continui riferimenti bellici e distopici; mentre la critica al potere di quei “soliti pochi” è sempre lucida (vedasi Marinaleda) ed attinge ad una legge utopistica del contrappasso che tuttavia non trova troppi riscontri nella realtà di tutti i giorni. L’Età del Muro è probabilmente il manifesto più sentito dai Via Lattea, una fotografia oggettiva mette a fuoco con brutalità gli abusi di potere e le chiusure di una civiltà, trovando nell’armonia dei cambi di tempo quel dinamismo che di cui il cantautorato è sempre stato carente. Rabbiosi e misericordiosi, i Via Lattea cantano delle differenze sociali e culturali di un occidente capitalista che si è fin troppo specchiato su se stesso: «Dalle mura di Damasco, alla Giungla di Calais: che donino la fame a chi ha troppo da mangiare!».
Una voglia di cambiamento esiste e si legge tra le righe di questo complesso e profondo album, il brano  Buonanima (ed il riferimento alle colonne d’Ercole ed a cosa hanno rappresentato nella storia dell’uomo) è un esempio lampante, sia a livello di composizione che lirico. Così scrivere di questo mondo lacerato dalle lotte diventa un mestiere complicato, se non altro perché in questo mondo bisogna pur viverci, ecco che Non mi sono mai sentito così vivo ristabilisce quella fioca speranza nell’amore, come unica cura al sopportare la pesantezza di questo cielo.

Attuale e spiazzante, Questa Terra (ottima la cover-art da una fotografia di Matt Bigwood scattata con la tecnica pinhole photography) smuove il terriccio sotto i nostri piedi e prova a far riflettere. I Via Lattea mostrano sia nelle ottime dinamiche sonore, sia nei gelosi arrangiamenti, di essere qualche passo in avanti rispetto agli inni generazionali ricolmi di hipsteria ed alle rime facili di emozioni di cantate mille volte. Liriche potenti e con quel piglio compassato, diventano un modo originale e molto serio per raccontare il rapporto complicato tra le emozioni e la giostra dei nostri giorni.

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recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

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