Quarter Century – Barbagallo

Questa non è solo la storia di un disco, ma per chi sa leggere tra le righe, saprà apprezzare quella che è l’evoluzione di una scena intera: quella siciliana. Prendete carta e penna dunque, annotate qualche nome.
Carlo Barbagallo chitarrista classe 1985 nato con la sei corde in mano, visto il curriculum musicale. Menestrello dagli effetti acidi  e psichedelia low-fi, ospita in questo suo Quarter Century (per 42 Records) ottimi musicisti con ottime idee, corrispondenza quasi mai scontata. Fattosi le ossa nei Suzanne’Silver percorre la sua parabola distorta facendosi apprezzare negli Albanopower, ironico trio dalle mille sfaccetture elettro-pop-sperimentali. Come ciliegia sulla torta ecco la produzione e partecipazione dell’esordio dei Loners (I Remember a Dream, che mi è rimasto abbastanza ben impresso).

Barbagallo Quarter CenturyPerciò questo ep rappresenta un esperienza interessante non solo perchè coadiuvato da un sfilza di nomi che ricalcano la scena intera di Siracura e dintorni, ma assume le tinte di un innamoramento e di una passione che solo chi ama veramente la musica è in grado di cogliere. Lorenzo Urciullo già con lui nei Tempestine, è uno di quelli parecchio invischiati nella stesura di questo disco, ma citerei pure il violoncello di Michele Alessi (Captain Quentin, esperimento interessante!) e il tocco elettro-acid di Salvo Sultano (Music for Eleven Instruments).
Album dai contenuti spettacolari, sperimentale quanto basta. Ruvido nel rovesciare la forma canzone classica, senza esagerare in distorsioni, delay o slide-shows! Una ricerca sonora che punta molto sul redivivo low-fi, e fa assomigliare questo ep ad una reliquia di metà anni ottanta. Suoni ovattati, pressurizzati in melodie tutto sommato accessibili, synth dosati con buon fiuto nel creare  vuoto d’atmosfera rarefatta, senza per forza assomigliare a qualche pasticcio gotico o spettrale.

Una sorta di malinconia di seconda mano che esce timida dalla tana del cuore, ritmi che passeggiano sulla lama del rasoio, come nella lenta Show dalle velleità pop ma dal coraggio underground: l’uso della tecnologia è piuttosto circoscritto, preferendo la musica suonata e “pensata” ad effetti suppellettili di scarso valore artistico.
Si apre con A place called home che ci risucchia l’energia in un vortice cobalto: sembra un esercizio elettronico ma che sapientemente (ed inaspettatamente!) si trasforma in una ballata nebulosa percorsa da brividi lisergici, un lasciarsi cullare dalle onde d’un mare psichedelico: estremamente rilassante! Il ritmo tribale di Clouds Behind Moon smaschera una variopinta fantasia, quasi dub nella sua evoluzione, quasi blues negli intenti: mischiare i generi senza nessun compromesso o preconcetto, questo sembra essere il segreto di Carlo Barbagallo nei suoi featuring. Reject (no reaction time) si fa nervosa e carica di tensione, quasi come i primi lavori dei Teenage Jesus di Lydia Lunch, meno lussuriosi, ma con un pizzico di carillon convulso da lullaby capovolta. Effetti d’archi che s’incastrano nella trama leggera di chitarra per essere poi soppiantati dal languido placebo di un xilofono che passeggia sulle melodie d’un brano intarsiato di un acido onirismo.

Holiday sembra fare a botte con una minimalista wave decodificata secondo il vangelo di Barbagallo, in questo brano è palese la guerra di mondi tra i suoni puramente sperimentali ed analogici e il tocco d’avanguardia digitale che prende a schiaffi ogni retorica, in un ottimo mix che non soffre la nausea.
Non mi resta altro da dire: ascoltatelo e basta! 

 Barbagallo bandcamp
Barbagallo myspace
42 records sito ufficiale

 recensito da Poisonheart
 

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