Pampered Menial – Pavlov’s Dog

Julia, you’ve set the standards for me
Walk to your door
Beggin’ for it just to be more.
Mi chiamo Camilla e racconto della musica che riposa nel fondo della mia anima … e la condivido con voi …

 

Pampered Menial -- Pavlov's DogChe strana storia, quella dei Pavlov’s Dog.
Una formazione di culto per il progressive di marca US annata 1973, ma sconosciuta ai più: un vero peccato, perlomeno per la storia che vado a raccontare.
Innanzitutto i Pavlov’s Dog nascono come band a 7 elementi (fatto che non dovrebbe stupire più di tanto agli inizi degli anni ’70), numero giustificato dalla presenza oltre che dei soliti strumenti di base, anche di violino, mellontron, fiati più disparati e non di meno il vitar, una sorta di ibrido tra chitarra e violino, suonato dal meticoloso genio di Siegfried Carver. Altra caratteristica unica della band è data dal proprio chitarrista e frontman, quel David Surkamp la cui voce particolarissima (se la confondete con una voce femminile, il timbro mi ricorda Clare Torry di The Great Gig in the Sky, non preoccupatevi, è un errore comune!), soave e potente allo stesso momento, non ha eguali in quel periodo.

La ricchezza di strumenti è direttamente proporzionale alla genuinità di suoni che il disco d’esordio Pampered Menial, un miscelato dinosauro di progressive-rock , impreziosito da ballate fresche e vivaci di matrice più pop. Eppure nonostante tutte queste ottime credenziali, nonché lo scalpore generale per una band così particolare, la ABC li molla poco dopo la pubblicazione del disco nel 1975, la palla viene colta al balzo dalla Columbia che mette i Pavlov’s Dog sotto contratto e ripubblica il disco: cosicchè nello stesso anno, lo stesso disco esce con due label differenti!

L’ironia alla band non manca (ricordo che Ivan Pavlov, da cui la band prende il nome, fu il famoso medico che scoprì il riflesso condizionato, ma forse non tutti sanno che si dedicò assiduamente agli esperimenti su cani!), nonostante Pampered Menial sia un disco lineare, non provocatorio e molto piacevole all’ascolto. Di certo grande merito va, all’istrionico Surkamp e alle trame di chitarra che s’intrecciano con archi, fiati e spifferi di pianoforte; Julia è uno dei capitoli più intensi, e non solo per la solennità di un brano asciutto, di rara perfezione, nel quel il finger-picking della sei corde s’allaccia con armonia alla base di piano e alle folate di flauto.
Particolarmente piacevole è Late November, più aggressiva dal punto di vista canoro, e sollecitata da un progressive-rock tipico della scuola americana; non a caso i produttori di questo disco hanno lavorato anche con Blue Öyster Cült, solo per fare un nome. Song Dance e Fast Gun rappresentano sprazzi molto diversi, eppure non in contrapposizione lungo la scaletta del disco; la prima è un poderoso rock classico, mentre la seconda nuota nel mare cristallino del prog più fantasioso e vanitoso.
Il resto del lp scorre senza strappi, tra piccoli tesori di armonia e più scontate soluzioni, da citare l’intro passionale di violino in Episode, passando per la celtica Preludin, mentre la traccia di chiusura Of Once and Future King è la summa di tutto il disco: da brividi!

Recensito da Camilla
Camilla heartofglass

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