Pace, Amore ed Empatia: Heart Shaped-Nirvana (1992 -1994)

Mentre la stampa scandalistica ed il mainstream musicale banchettano sulla carcassa di Nevermind, i Nirvana e Kurt Cobain sono alle prese con le conseguenze del successo, ed il peso che ne deriva. I problemi allo stomaco del chitarrista si aggravano ed il ricorso all’eroina è solo una mera giustificazione verso un problema interiore ed un buco ben più grande, già svelato in Nevermind. Gli effetti della macchina commerciale sempre calda si fanno sentire con l’uscita il 15 dicembre 1992 (a ridosso delle festività natalizie!) di Incesticide, un album fatto di rarità, outtakes e lati B. Un bel pacchetto con fiocco rosso per i giovani fans dei Nirvana.
Incesticide - NirvanaIl disco è composto da tutto materiale inedito del periodo pre-Bleach, nel quale si possono apprezzare certamente buoni spunti, ma senza quell’omogeneità che una migliore programmazione e produzione avrebbero preteso. Alla batteria si alternano oltre a Grohl e Channing, anche Dan Peters (Mudhoney) e Dale Crover (Melvins) che compaiono nel booklet del disco sotto forma di confuso mosaico in bianco e nero.
Incesticide è interessante solamente se si vuole comprendere meglio chi erano i Nirvana prima del successo di mondiale (considerando che le vendite di Bleach rimasero sempre abbastanza contenute): riff improvvisati ma efficaci, suoni sporchi, viscidi e tanta rabbia. Le migliori canzoni sono quelle che già fanno parte del repertorio live della band: Been a son, Dive e Sliver (unico singolo estratto, nel cui meraviglioso videoclip si può apprezzare l’esordio musicale della piccola Frances Bean Cobain ) sospese tra la ruvida sonorità di Bleach e l’intelligenza musicale di Nevermind. Il resto è la cronaca di un disco-compilation: una versione veloce e lievemente punk di Polly (che compare con il titolo New Wave Polly), oltre che alla riproposizione di Downer (mancante nella prima stampa di Bleach). Da segnalare la presenza di ben tre covers, due dal repertorio dei Vaselines (gruppo scozzese dell’amico Eugene Vaseline) e una sorprendente quanto spiazzante dei DEVO (Tournaround); a rimarcare una consuetudine negli ambienti alternativi di condividere sempre quelle che sono le proprie fonti di ispirazione. Le ultime tracce dell’album non sono altro che esperimenti mai più riproposti con contaminazioni hardcore ed heavy: Big Long Now e Hairspray Queen per citarne due. Tuttavia l’album chiude con una delle migliori canzoni dei Nirvana: quella Aneurysm composta da un semplice riff che scorre per tutta la tastiera della chitarra e quattro accordi  che esplodono in uno spassoso chorus nella classica e fortunata formula di parti lente e parti veloci.

«In Utero non è particolarmente più crudo o più emotivo degli altri dischi. I coglioni mi girano ancora per gli stessi motivi di qualche anno fa. C’è gente che fa del male ad altra gente senza motivo, ed io voglio massacrarla. Questo è il succo ». In Utero è la complicata gestazione del dopo-successo, è un intimo grido di dolore, è una resa amara che tiene ancora altro il vessillo della musica alternativa. Quanto c’è da ammirare gli REM per come hanno saputo gestire il successo di Losing my Religion, e forse Cobain s’illude di poter proporre alla sua casa discografica un disco che sia quanto più possibile lontano da Nevermind, quando gli stessi papponi della Geffen si aspettano esattamente un altro identico seguito di Teen Spirit. Pure l’attesa dei media è trepidante oltre che invadente, e in pochi mesi i Nirvana sono diventati più famosi per i guai della famiglia Cobain che per la loro musica. In questo disco allora vi si condensano tutti gli avvenimenti degli ultimi due anni: dal successo di Teen Spirit al dramma della fama mondiale, dall’eroina alla relazione con Courtney Love, dall’invasione dei media nella vita privata della coppia, fino alla nascita della figlia Frances Bean.
In Utero - NirvanaQuello che preme di più ai Nirvana è scioccare il pubblico ed il mainstream, perciò l’assioma che il seguito di Nevermind sarà quanto più lontano da Nevermind sembra in teoria plausibile. Cobain è un uomo intelligente e preciso, e sa come provocare la casa discografica per mantenere il controllo artistico sulla propria musica. Per questo viene ingaggiato Steve Albini alla produzione, noto per i suoi lavori underground con Pixies, Jesus Lizard e Sonic Youth, per il suo sound grezzo ed per quella cultura del DIY (do-it-yourself) che mal si sposa con le volontà affaristiche di una casa discografica. I nastri non vengono fatti ascoltare alla Geffen, se non dopo la fase di missaggio. Così le armonie sono lontane dai successi precedenti, presentando un lato oscuro e rabbioso, intimista e disperato del rock. Al primo ascolto sia la Gold Mountain (il management) che la Geffen  bocciano il progetto definendolo troppo rumoroso e inascoltabile; non è radiofonico, non venderà mai quanto Nevermind! Ecco l’unica premura!
Seppure i Nirvana siano dapprima entusiasti del lavoro svolto, viene comunque ingaggiato Scott Litt (già con i REM), che in fase di missaggio rivede le future hits Heart-Shaped Box e All Apologies. Il riassunto di tutto è contenuto è nelle parole di Steve Albini: «A parte loro tre [i componenti] tutto ciò che gira attorno ai Nirvana è in mano a dei pezzi di merda».
La ciliegina è completata dall’intromissione della stampa musicale e non, sull’imminente uscita dell’album nel settembre 1993; agitando la polemica già in atto tra i due gruppi più in voga nel panorama grunge, i Nirvana e i Pearl Jam. Il Los Angeles Times propose il seguente dilemma ai fans: «Se ‘Vs’ dei Pearl Jam e ‘In Utero’ dei Nirvana uscissero nei negozi nello stesso giorno, quale dei due album comprerebbero i fans?». Vinse il disco dei Pearl Jam, creando successivamente una maretta tra Cobain ed Eddie Vedder, nata più che altro per malinteso e per frustrazione del primo: «E’ stato un mio errore; avrei dovuto criticare la loro casa discografica invece che prendere di mira la band. Sono stati messi in vendita; probabilmente non contro la loro volontà ma senza che si rendessero conto che li stavano spingendo nel carrozzone del grunge».

In questo clima è comprensibile che In Utero suoni ancora più attuale. «L’angoscia adolescenziale ha pagato bene» così aprono i primi versi di Serve the Servants, in cui l’accusa contro chi ha minato e rovinato la vita personale di Cobain è palese. Disarmanti alcuni momenti del disco: le urla che si udivano in Nevermind sono un inezia a confronto del disagio e della mutilazione contenuti in Rape me  (altra canzone contro lo stupro, mal interpretata dalla stampa ignorante), Scentless Apprentice e Milk it sospese tra un’isteria paranoica ed una disperazione ricolma d’angoscia. Ma come ho già detto, quello che prevale in questo disco è la forte interiorità e sincerità: le malinconiche ballate come Dumb e Pennyroyal Tea, mescolano un suono acustico e d’influenza beatlesiana,  conservando la ruvidezza delle produzioni underground.
I titoli di punta come detto sono quelli missati da Litt (eppure a posteriori ascoltando le versioni originali di Albini, mi vengono tanti rimpianti!) Heart-Shaped Box è una delle migliori canzoni di sempre, possiede le atmosfere rarefatte dei tempi di Come as you are e le mescola con la puntuale verità del sound alla REM (l’assolo sembra prendere ispirazione a quello contenuto in Man on the Moon). In All Apologies (l’unica in realtà canzone d’amore del disco, dedicata a Courtney Love e Francis Bean durante il famigerato concerto di Reading del 30 agosto 1992) si assapora la fine del disco con una profondità, tutta marchiata Cobain, commuovente, spiazzante, dolce come il miele. Un commiato. I testi vengono ancora una volta vivisezionati dai media, coniando significati di comodo solo per riempire le pagine di qualche articolo; un clamore generato semplicemente perché negli ultimi dieci anni (ad eccezione di Joe Strummer) non c’è più stato un lavoro di composizione così ricercato e personale. In Utero è un album sensibile, disperato, vero, persino crudo. Cobain è riuscito a mettere se stesso e le esperienze maturate negli ultimi anni, mascherandole con riff di chitarre e colpi martellanti di batteria. È un disco intenso e veritiero, senza compromessi e senza bugie.

Unplugged in NY - NirvanaPrima del tragico epilogo che tutti noi conosciamo, c’è un’ultima meravigliosa registrazione.
Il 18 novembre 1993 negli studi di New York si assiste al miglior Mtv Unplugged della storia dell’emittente. L’esibizione acustica dava la possibilità ai Nirvana di misurarsi in un campo delicato e continuare verso la strada intrapresa con il sound di In Utero. Ecco come racconta l’entourage la vigilia dell’unplugged: «Quando comunicai alla direzione di Mtv che avrebbero portato degli ospiti sul palco, vidi i loro volti illuminarsi. Si aspettavano di sentire i nomi giusti, Eddie Vedder, Tori Amos o chissà chi altro. Quando pronunciai il nome dei Meat Puppets la loro reazione fu: “Perfetto grandioso. Non faranno le hits e invitano ospiti che non faranno le hits. Grandioso”».
In effetti i Nirvana, con Pat Smear alla seconda chitarra (ex Germs, e già arruolato per il tour di In Utero) e Lori Goldston al violoncello; decidono di non includere le hits che tutti si aspettano, componendo il concerto di brani che spesso trattano delle aspettative della vita, del successo, della sconfitta, della possibilità di fallire. Prediligendo spesso le covers, la band si tuffa sulla meravigliosa Jesus doesn’t want me for a sunbeam (sempre dei Vaselines, inesauribile fonte d’ispirazione!), e reinterpreta il primo Bowie in The man who sold the world;  poi divide il palco con i fratelli Kirkwood dei Meat Puppets per tre toccanti canzoni.
Il live apre con About a girl This is off our first record, most people don’t know it ») che perfettamente si allaccia ad una calda e piacente Come as you are. Man mano che l’unplugged avanza il gruppo prende coraggio e dimestichezza con la dimensione acustica e nel caso di Dumb e Pennyroyal Tea le interpretazioni sono migliori rispetto alla versione originale. Tutta la tensione che aveva accompagnato la vigilia del live (Cobain sta male, a volte è a disagio sul palco e sempre più distante da Novoselic e Grohl), viene stemperata con un’interpretazione celestiale, tuttavia qualcosa di imbarazzante si coglie lo stesso.
Una suggestiva All Apologies conduce all’epilogo dello show, che termina definitivamente con la catarsi totale di Where did you sleep last night? di Leadbelly bluesman degli anni ‘40. Kurt presenta così il brano: «E’ una canzone scritta dal nostro musicista preferito» e poi prosegue «un rappresentante della famiglia Leadbelly voleva vendermi una sua chitarra per 500mila dollari…ho chiesto a David Geffen se gli interessava» accompagnato dalle risate di un pubblico divertito. Una performance indimenticabile nel quale la voce di Cobain si strozza con un lancinante acuto finale, che lascia i presenti ammutoliti. Se ci si vuole chiedere come mai i Nirvana abbiano scelto un blues per chiudere lo show, non date retta a Charles Cross che afferma che in quel requiem fosse riassunta tutta la tensione della band; semplicemente ritorna quell’indole alternativa di condividere le proprie passioni mantenendo sempre vitale la cultura del rock indipendente.

Unplugged in NY è documento eccezionale non solo per la performance in sé, ma anche per valutare lo stato di salute di una band che regala così ultimo gioiello. I rapporti tra i membri non sono più gli stessi; l’uscita di In Utero ha scontentato tutti, la divisione delle royalties e tutto il peso della stesura dei brani sulle spalle di Cobain hanno fatto il resto. Senza tralasciare i problemi di eroina e i dissapori tra Courtney Love e Dave Grohl. Nonostante la tensione che ha accompagnato la registrazione del live, ci viene comunque regalato un disco postumo caldo, poetico ed emozionante. Per i fans è un cimelio di inestimabile valore, il cui ascolto richiama sempre un piccolo ma fortissimo dispiacere, una nostalgia intima.

La Firma: Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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