One Ticket to Travel – One Ticket to Travel

One Ticket to TravelUna generazione vista da un altra generazione, più vecchia stavolta: “I figli della tv” era la risposta di Bob Hughes alla domanda del tenente Gentry, prima di essere caricato nell’ambulanza. Una storia di cowboy da farmacia.
Beh, comunque sia, il senso è quello. Ogni generazione attinge al bagaglio che quegl’anni portano con sé …
Ed i vicentini One Ticket to Travel hanno nelle loro sacche a tracolla rimasugli grunge scaduti e tanto tanto tanto di quella ondata definita stupidamente (perdonate, ma proprio è insopportabile!) nu-metal. Tuttavia attorno all’osso c’è ancora della carne, e questi giovani ragazzi ci mettono molto del loro ed evitano con abilità il rischio di emulazione dei soliti nomi dalla maglia a mezze maniche nera.
Una combo sonora che vive sempre in quell’isola di metallo pesante, che regala quasi tutto il palco alla sei corde ed al ritmo roboante di rullante e piatti, ma che opportunamente pigia, con parsimonia, sull’acceleratore, ingegnandosi in soluzioni musicali che evadono dallo schema hard. Questo omonimo demo si dimentica completamente dell’indie-rock, e questo è solo che un bene; nelle ballate più pacate e riflessive la band non sfora con fantasiosi esperimenti fuori tema, vedasi in La Banja un hard-rock molleggiato che si concede a qualche scorribanda nel blues a buon mercato, ricorda quelle ballate alla Temple of the Dog: il miglior pezzo del disco!

Little Hand segue un laccio molto simile, giocando con decisione su accordi e bridge ben curati, esondando nel chorus, accendendo il distorsion (è ancora arancione quello della boss???) ed il ruggito della chitarra. La band prova a destreggiarsi in cambi di tempo e ritmo, staccando e navigando in minuscole jam dal suono arcigno e granitico. Esercizio riproposto spesso nel corso dell’ep, e che riesce discretamente nel suddetto brano, ma non altrettanto in Heavy Heights: da migliorare lo stacco e quindi il reprise finale. Every day I could return è l’assalto alla fortezza metal, un brano essenziale, forte, che ferisce per l’energia sfoderata, pecca forse un pizzico in originalità ma è il prezzo da pagare di un metal livido come questo. Goldust prende ripetizioni un ora a settimana probabilmente dai SOAD, se non altro per il ritmo sghembo della trama sonora e del timbro vocale: buona variazione al tema.
When the joy comes si comporta come l’asociale del gruppo e si estrania  dal resto dell’album, varca terre sconosciute, agisce nei punti giusti e non manca di mordente, specialmente nel connubio voce-chitarra. Una pista che personalmente preferisco, nonostante i One Ticket to Travel non siano la solita band sedotta dal metallo pesante e dal machismo che ne deriva. Nel complesso una buona prima prova, sicuramente da affinare per rendere la materia sonora una cosa sola … ma il tempo e l’età (e spero pure la passione) giocano a loro favore !

 One Ticket to Travel myspace

recensito da Gus
 

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