New Revolution – Polarbeers

Da discreto degustatore di birre, la Polar beer è una pessima lager venezuelana (esiste anche una omonima islandese, ma il giudizio non cambia!); ma fortunatamente le similitudini con i milanesi Polarbeers ed il loro rock seventies finiscono qui! New Revolution, secondo lavoro dopo l’omonimo del 2013, è trainato dallo slogan “Different Music for Different People”, che non è il ruffiano trafiletto commerciale che vorrebbe sottolineare una certa compiacente poliedricità artistica, ma pare voglia delineare (l’ascolto mi chiarirà le idee) un diverso tipo d’approccio che si allinea ad una libera e libertina indipendenza musicale. Sicuramente questo disco possiede tutti gli ingredienti per arrivare ad un pubblico più ampio possibile, senza alcuna intransigenza di genere, ma mescolando il buon vecchio rock ‘n’ roll con influenze diverse (dall’hard-rock al garage, passando per ballate più orecchiabili o per intramezzi psichedelici), quasi a voler raccontare in maniera sfusa e libera le diverse tappe della storia del rock. In fondo la rivoluzione perpetrata dai Polarbeers attinge al passato, rimodulando tendenze, incrociando passioni ed intuizioni, verso arrangiamenti piuttosto elaborati e variegati.
New Revolution - PolarbeersNessun filo conduttore tra una traccia e la successiva, solo un’estrema abilità di vestire le peculiarità di ciascun genere e rielaborarlo attraverso la propria esperienza; i Polarbeers conoscono abbastanza il rock per evitare emulazioni scolastiche, ma sono anche molto precisi nel condensare tutta l’energia, per rilasciarla solo nel momento in cui ritengono necessario.
L’approccio punk e di rottura verso il sistema sembra esser stato ben assimilato, eppure il quartetto milanese evita i triti e ritriti slogan di rivoluzione (nonostante le apparenze!), preferendo evocare qualche illuminante cambiamento (a colpi di chitarre e distorsore) in questa cultura che sembra entrata in un letargo almeno ventennale. Così la chiamata alle armi è presto suonata in una rigenerante Down the River, colorata bomba rock che gioca sui diversi livelli di chitarra e sui cori di richiamo (senza disprezzare un bel “solo” maculato di basso). Inizio arrembante, confermato dalla nevrotica Suit & Tie, che ripropone (in forma più orecchiabile) la formula del brano precedente; mentre i ritmi mutano pelle nella esotica ed acustica Meteropathy (videoclip uscito il 1 ottobre), in una forma-canzone che ricorda gli Alice in Chains di Down in a Hole.
Please Be Coming Home rappresenta il primo vero cambiamento di stile nel disco: un intro lungo e quasi doorsiano, fa da tappeto sonoro ad una suite ammiccante e sensuale con qualche spruzzata soul, presto mascherata da una parte strumentale grintosa ma senza grosse accelerazioni o cambi di tempo. Eclettica e vibrante è New Revolution, compatta come lo si richiede ad una title-track, con un’ottima amalgama tra una sezione ritmica possente ed un buono scambio di chitarre; la successiva Little Sister è irriverente e sbarazzina, perdendo il retrogusto seventies, verso orizzonti più contemporanei.
La parte finale del disco ci consegna una monumentale Maple Jar (probabilmente il miglior pezzo del disco), nel quale i ritmi affogano in una sorta di narcolessia yorkeiana, evocando fantasmi e timori pronti a bussare la porta nei momenti più vulnerabili. Una sensibilità che non t’aspetti dal rombo delle distorsioni dei Polarbeers, ma che potrebbe rappresentare un’interessante base per il futuro prossimo: le capacità ci sono tutte! Chiudo con Music Stole my Voice for a while, rarefatta jam-session che nasce quasi impercettibile per toccare le corde più psichedeliche e sperimentali dell’intero disco, virando -con un astuto crescendo- in una folle combo di chitarre ove le baritone e cupe distorsioni scorticano i timpani, mentre come un mantra deifico viene ripetuto all’inverosimile il titolo del brano.

New Revolution è un estratto di adrenalina da usare con imprudenza: i Polarbeers costruiscono una musica arrembante e variopinta, mostrando abilità camaleontiche e buon polso in fase di produzione, con in penombra qualche licenza sperimentale e post-rock che potrebbe rappresentare più di una carta da giocarsi in futuro: mai pensato a cosa succede dopo la rivoluzione?!

 

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recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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