Ich bin ein industrial-Berliner: la trilogia dei Rammstein (1995-2001)

Negli anni novanta in  Germania brulicavano un’infinità di band indutrial-metal, le quali però non ebbero mai grande successo al di fuori del loro paese; solo una riuscì ad uscire dall’anonimato, e questa band risponde al nome di Rammstein (che deriva dal paese “Ramstein“, tristemente noto per l’incidente aereo delle frecce tricolori italiane).
La band fondata nel 1994 a Berlino da Richard Kruspe (chitarra)  e dai suoi all’epoca coinquilini Oliver Riedel (basso) e Christoph Schneider (batteria),  decisero un giorno di partecipare ad un concorso musicale, e mancando la voce, reclutarono il corpulento ed irriverente Till Lindemman, a cui più tardi si aggiungeranno il tastierista Christian Lorenz e il secondo chitarrista Paul Landers.
Coraggiosamente il gruppo sceglie di cantare in madrelingua; e se musicalmente sembra una scelta azzardata che li taglia fuori dal mercato europeo (se pensiamo che perfino i Kraftwerk con The Model scelsero l’inglese) definire i Rammstein una band industrial-metal è molto riduttivo: nel loro sound sono presenti reminiscenze industrial (Einstürzende Neubauten su tutti), per non parlare di velocità thrash-metal moderno e tastiere con riff  dance/techno.
Herzeleid - RammsteinIl singolo rappresentativo di un disco crudo e maniacale come Herzeleid (e anche quello che ha decretato il loro successo in Germania) si riassume in “Du Riechst So Gut”  che possiede un’ammaliante ’elettronica da “dancefloor” ma con chitarre che innescano ritmiche che ricordano marce militari tedesche e tonalità costantemente molto basse e possenti . Distorsioni martellanti ed un timbro di tastiera caratteristico, accompagnano questo esordio con brani pressanti come “Weisses Fleisch” che non da tregua alla sua violenza ossessiva, o la più diretta  “Rammstein” che parla del disastro aereo (dal vivo il cantante la esegue mentre indossa una giacca completamente in fiamme) il tutto accompagnato da riff monocordi di chitarra che creano un muro sonoro impenetrabile. La band si fa così conoscere oltre i confini nazionali, non solo per i concerti pirotecnici e spettacolari, ma anche per un sound così nuovo e violento per una tradizione europea che (tranne le eccezioni di genere nordico) da troppo non si spingeva così oltre; tanto da convincere David Lynch ad inserire “Heirate Mich” nel suo capolavoro Lost Highways del 1996.
Se brani come “Seemann” trainano l’album ad un buon riscontro anche commerciale, il punto debole Herzeleid è la discontinuità nel sound complessivo, come se  la band non avesse ancora le idee chiare (o la dimestichezza necessaria) su come dosare l’elettronica al granitico apparato metal, tuttavia si farebbe un torto alla band negando la bellezza di questo disco.

I Rammstein sono quindi in rapida ascesa verso il successo, grazie anche al tour in supporto ai Ramones (quel grande ed ultimo Adios Amigos), il gruppo inizia a godere di una certa notorietà in Europa. Tuttavia il passo per raggiungere il resto del mondo verrà compito con Sehnsucht, (1997) anche se sarebbe meglio dire con il singolo “Du hast”; non c’è sasso sulla terra che non la conosca, ma se siete atterrati da poco sul nostro pianeta potete rifarvi in tempi brevi. Cosa c’è di nuovo in Sehnsucht? Innanzitutto i brani sono più compatti e l’elettronica più calibrata per dare un’atmosfera “Sci-Fi” a tutto il disco, le chitarre diventano più marcate e marziali, a rimarcare la retorica teutonica; inoltre Till Lindemann dietro al microfono appare molto più sicuro e teatrale,a tratti persino sardonico, nonché sarcastico.
Sehnsucht - RammsteinIn molti si saranno anche chiesti di cosa parlano i testi dei Rammstein: beh chiariamo subito che non hanno liriche filo-naziste o altre strumentalizzazioni del genere (già, perché secondo alcuni cantare in tedesco è da nazisti!); tuttavia spesso e volentieri trattano  di tematiche oscure che riguardano la sfera del desiderio umano più segreto o alcune pratiche sadomaso rilette in chiave decisamente grottesca. Durante le registrazione del disco, i Rammstein cercano di accontentare tutti,  dai metallari più tradizionalisti agli amanti della musica industrial/techno dance, come si può udire nella title track, nel quale abbiamo l’unione di chitarre minacciose che ricalcano marce militari moderata da un’elettronica ballabile. Il cantato è sempre duro e tirato, basti sentire a mò di esempio il ritornello, con quel “SEHNSUCHT !!!”  urlato come se fosse un inno tedesco di altri tempi.
Un pezzo tra tutti si distingue in maniera particolare, ed è “Engel” dove Till duetta con Cristiane Hebold (dei modesti Bobo In The Wooden), ricordando molto le atmosfere cyberpunk,  con città tristi e sempre buie; i ritmi si fanno più lenti e malinconici accompagnando un testo che parla di come non sia poi così bello essere un angelo.
Il brano che si discosta maggiormente dalle tematiche metallare è “Buck Dich“, mantenendo solo delle chitarre esuberanti e solo quelle, dato che il resto è un purpurì di fantasie techno vs battiti rave party .
La varietà di questo album sembra non finire mai, prendiamo ad esempio “Klavier“,”Spiel mit mir” e “Alter Mann“, completamente diverse tra loro, ma ciò che le accomuna è la genialità con cui i Rammstein uniscono elementi sonori dissonanti mantenendo sempre alta la tensione musicale. E’ così che si può sentire la melodia pura che si sposa con una furia cieca (o industrial) più cupa con cantato lento e solenne che può diventare di colpo veloce e fuori controllo.
Sehnsucht rappresenta così un’ottima prova per i sei berlinesi che abbattono le barriere della lingua tedesca,  grazie a grandi hits come la già citata “Du hast” e concerti sempre più  incendiari ed esplosivi (da fare invidia ai Kiss)  che permetteranno alla band di  raggiungere senza grossi problemi il successo planetario.

I Rammstein sembravano spariti nel nulla (un po’ come sempre …) e dopo 4 anni di silenzio rieccoli con il loro terzo album, quello più maturo e quello che segna un taglio decisivo con le sonorità del passato. In Mutter (2001) l’elettronica rimane imprescindibile, nonostante una latitanza di riff dance-techno che scompaiono per sempre, in modo da concentrare tutta l’attenzione sulle roboanti chitarre; i tagli tuttavia riguardano le gradevoli atmosfere futuristiche e cupe, che maggiormente differenziavano il lavoro degli esordi.
Mutter - RammsteinMein Herze Brennt” è il manifesto del cambiamento di sonorità dei Rammstein, che comincia con un’orchestra sintetizzata insieme ad un Till che intona una sorta di  “ninna nanna”,  la quale  viene interrotta di prepotenza dal riff mastodontico principale (che ricorda vagamente “Kashmir” dei Led Zeppelin). Ciò che si nota subito è il netto miglioramento della voce  di Till, più melodica e calda, capace di andare oltre i suoi limiti baritonali, scansando così la retorica da panzer tedesco
I sei di Berlino, che per anni sono stati accusati  di essere filonazisti, zittiscono tutti con la sorprendente “Links 2 3 4” (‘Sinistra 2 3 4’)  dove si dichiarano apertamente di avere idee tutt’altro che di estrema destra; tuttavia, tralasciamo gli ideali politici e concentrandoci sul brano assistiamo all’ennesima  una parodia di una marcia militare, manifestando una buona quadratura  e dulcis in fundo apprendo anche ad un breve assolo finale.
La malinconia affiora nuovamente con “Sonne”, cyber-filastrocca dedicata al sole, cantata in maniera solenne su di una base cupa lenta ma possente come ai vecchi tempi. Il singolone orecchiabile e buono per le classifiche è “Feuer Frei!”, nota per essere la colonna sonora del film “XXX” con Vin Diesel; esplosiva e dirompente fin dal primo secondo, non arricchisce nulla a quanto già in seno ai Rammstein, anche se l’esibizione dal vivo  è letteralmente incredibile, suonata con tanto di lanciafiamme e petardi a volontà. “Rein Raus” è un altro brano interessante, riff schiacciasassi e un ritornello che gracchia l’inno tedesco, facendo di questo pezzo un altro gioiello dell’album.
La title-track, apre il capitolo delle ballads cupe e tristi già inaugurato con Sehnsucht;  un una canzone triste, con un testo struggente e spiazzante che parla dell’aborto vissuto dal punto di vista del bambino, traducibile più o meno così: «Non mi era permesso di leccare nessun capezzolo e non c’era nessuna piega in cui nascondersi nessuno mi ha dato un nome / Stanotte ho giurato per la madre che non mi hai dato luce, le manderò una malattia e poi la lascerò affogare nel fiume». Complesso edipico a parte, i Rammstein non badano a troppe metafore, per confermare la loro legge del contrappasso.
Commercialmente validissimo, Mutter (e la cover art presa direttamente dalle opere “facciali” di Daniel e Geo Fuchs). è un disco scala classifiche, l’attesa di 4 anni viene giustamente ripagata, con  ben 5 singoli estratti (Ich Will, Mutter, Feuer Frei!, Links 234 e Sonne), ed una compattezza sonora, che via via verrà persa con le successive produzioni, tendenti a ricalcare questo distorto e rumoroso capolavoro!

La Firma: Mighell
Mighell heartofglass

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