Meccanismi – EIT

Non usufruendo del servizio pubblico radiotelevisivo italiano, mi perdo i succosi talent-show che così tanti giovani artisti sfornano, per poi concimare un terreno arido d’interesse discografico come Sanremo. E allora osservando le classifiche di vendita, leggo nomi da una botta e via, sempre con il loro bel faccione in copertina … e mi chiedo, ma mi sono perso qualcosa? La risposta è no! Mi sarei perso qualcosa se non avessi aperto la cartella EIT dal mio pc, e con una tazza di caffè amaro alle 8 di sera, non mi fossi messo all’ascolto del loro Meccanismi, un disco che avrebbe qualcosa da insegnare a chi prolifera sulle sbornie emotive dei teenagers.

Meccanismi  EITCarrara è la città natale di questo quintetto per adopera un rock asciutto dalle armonie pop-wave, per spiegare cosa succede tutt’intorno e magari capirci qualcosa. Arrangiamenti puliti, stesi su di un tessuto ricco di spunti e di influenze, dalle sfumature di chitarra ai fraseggi di synth, ove su tutto fluttua un senso di smarrimento generazionale. Brani che evolvono in maniera naturale minuto su minuto, senza cambi di tempo forzati o senza esagerazioni di volumi, con l’onnipresenza dei tasti bianchi e neri in tutte le sue forme e trasformazioni. Odio è il brano che mostra tutte le potenzialità degli EIT: una lucida disamina su una generazione dal punto interrogativo, che segue il gregge ed obbedisce al bastone del pastore ed alle fauci del cane. E la band conscia di ciò, esprime tutto il proprio disagio, con figure semplici ma calzanti, mettendo in scacco i falsi pentiti: «Chi segue gli schemi precostituiti e finge di essere originale, droga il suo corpo d’inchiostro con simboli che non è in grado di interpretare».

E non è tutto, parentesi rock-lounge dal groove felino per Qualche passo ancora, che cambia pelle in corso d’opera, toccando le sponde pop ed affogando in riff ciclici che alitano verso un crepuscolo che dista sempre qualche metro più in là. Lividi vissuti si scorgono anche in Per Te, ballata dal passo apparentemente meditato, finquando la tensione non esplode in un rigurgito naturale di volume che corre sugli stessi binari dell’emotività delle liriche.
Le riflessioni sono sincere e rivolte sempre ad un pubblico ricettivo, che sicuramente dopo un concerto andranno a casa con qualcosa in più; eppure le parole non sono tutto e lo dimostra la strumentale La Febbre che Sale. Chitarre asciutte giocano su livelli diversi, creando un sound aperto, ben prodotto ed arrangiato, sintomo di una buona cultura e gusto musicale: ascoltatevi Nei tuoi Silenzi, per metà R.E.M. per metà made-in-italy. 

Storia raccontata con piglio d’altri tempi, quasi a confondere l’ascoltatore in Seduttrice Qualunquista, un brano dallo spiccato accento critico non solo verso il potere dei media sulle masse, ma più in generale su quello che oramai non è più un rischio ma una triste realtà: l’individuo omologato. Chiude il disco la minimale Fragile, che decolla in sordina tra atmosfere cristalline e soffuse, per raccontare cosa si cela nella parte oscura del cuore!
Un disco senza genere, senza genitori, senza filoni o paragoni … il rischio è di un disco senza tempo e senza età … mica male!

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recensito da Gus
Gus heartofglass
 

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