Marlon Brando – Marlon Brando

Tommaso Cantini e Lorenzo Cappelli accantonato il progetto Lola’s Dead (quartetto post-rock di Pistoia, leggi recensione) si tuffano in qualcosa di decisamente più denso ed oscuro, rallentando i ritmi ed allungando il minutaggio: Marlon Brando non è qualcosa che nasce dalle ceneri di altra carne, piuttosto è la ricerca ostinata di una diversa prospettiva sonora. Con questo omonimo esordio lungo, il duo batteria-chitarra condensa energie scarlatte suonando istintivamente, seguendosi l’un l’altro, senza bisogno di cenni, ritornelli o motivetti che ritornano ciclicamente.
Sono atmosfere elettriche, quasi shoegaze ma senza sibili troppo assordanti, sono ritmi a volte ipnotici, a volte mutilati, a volte evocativi; il tutto segue una ricerca spasmodica di quel particolare suono, di quella determinata palpitazione, di quella vibrazione buona che un musicista insegue come una chimera mitologica.

Marlon Brando PistoiaDi poche parole, i Marlon Brando, eliminano tutto quello che non è essenziale al progetto, e se i testi non erano una prerogativa con i Lola’s Dead, figurarsi in questa grigia metamorfosi, ove tutto viene destrutturato e ricollocato sotto una spinta decisamente meno ragionata. La chitarra spesso si lascia andare a melodie stagnanti, a tratti nostalgiche, ed appena appena ci si abitua all’andatura, ecco che vira subito verso estremi talvolta più lenti, talvolta più irruenti, non disdegnando movenze anche cupe. La batteria fa pressoché lo stesso, insegue le onde e poi le abbatte con frustate decise sui piatti che accentuano sibili acuti, mentre la sei corde macina con le distorsioni ed i ritardi. La sensazione di questa battaglia tra volumi e tonalità è quella di terra bruciata tutt’intorno; laconica e desolante la musica dei Marlon Brando è anche evocativa e di un certo interesse visionario. Superstite da un ecatombe nucleare, I’m not an Hurried Man vibra su movenze intestine, ed offre estratti lontani e impercettibili di risate da sit-com e di voci quasi inumane, come se il ricordo della civiltà si stesse progressivamente scolorendo dalle nostre memorie.
La dolcezza sinistra di Shelter e quelle pause che tolgono il respiro confermano la natura sperimentale dei Marlon Brando, che dopo aver azzerato i volumi, mimano a sonorità più armoniose, slide effimeri che come bolle di sapone esplodono al minimo sussulto. Nella sua articolata evoluzione, Miracle in the Desert, lotta contro il miraggio e la fatica; è una lotta celebrale ma è anche una lotta per la sopravvivenza, ove gli elementi di disturbo fungono da scalate diaboliche per mettere alla prova l’attaccamento alla vita.
You keep me up at night corre su binari gilmouriani, mentre la batteria percuote la medesima andatura fino ad annullare i ritmi quasi completamente, poi la sospirata resurrezione più volitiva e moderna, nel quale fuzz quasi “muffiani” irrompono fino allo spegnersi del brano. Il disco chiude con El ùltimo suspiro, nel quale la passionalità di uno spaghetti-western decolora le armonie, concedendo maggiore sfogo agli echi ed ai loop concentrici di chitarra verso una no-man’s land priva di colori ed emozioni.

Questo self-titled dei Marlon Brando dimostra un carisma vigoroso, come se tutto il fango dell’underground s’incollasse facendone una seconda pelle, concedendo a Tommaso Cantini e Lorenzo Cappelli di far urlare i loro strumenti verso lidi di libertà che in pochi si possono permettere.

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Marlon Brand bandcamp

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

 

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