Londra 1965: quando il Blues si fece Rock!

Londra 1965. Questa storia ha un luogo ed una data. E tanti indizi ci dicono che forse il rock è nato proprio lì.
Tuttavia definire con estrema esattezza le sue origini è davvero un’impresa ardua e che lasciamo volentieri alle testate più autorevoli o agli storici più audaci. Questa nuova musica, questo “rock”, come diavolo suona? Ecco la domanda che i critici e gli scettici si sono posti nei primi anni ’60.
Beh, la nostra chiave di lettura parte dal blues e dai dischi di Howlin’ Wolf e Muddy Waters venduti in terra d’Albione e dalla fantastica presenza scenica di Chuck Berry.
blues_the rolling stones Racconta Mick Jagger come nella Londra dei primi anni ’60 ci fosse questo fermento per il blues, e di come lui assieme a Keith Richards ne furono ammaliati. «Il primo album a diventare davvero popolare fu Muddy Waters At Newport, che è anche il primo disco che io abbia mai comprato. Non riuscii, all’epoca, ad andare a sentite Muddy […] faceva tournée in Inghilterra, ma quasi sempre faceva tappe nel nord, sicuramente non suonò spesso a Londra». Non solo i dischi dunque, ma anche i concerti, ed in quel periodo artisti come Leadbelly o Big Bill Broonzy passavano spesso per Londra, e per le televisioni. Inoltre la possibilità di acquistare i dischi della Chess Records per corrispondenza consentirono a molti appassionati di crearsi una bella collezione (anche se spesso il costo della spedizione e lo stato del disco facevano la differenza, ma alimentavano sicuramente quella brama di conoscere sempre di più sul blues).
Per i futuri Rolling Stones, quella musica rappresentava il cambiamento che stava andando di pari passo con il mutamento della società inglese («un altro avvenimento che ha segnato la mia generazione è l’abolizione del servizio militare obbligatorio» ricorda Richards), che finalmente usciva dalle conseguenze economiche disastrose della guerra. Il rock ‘n’ roll di Berry era innovativo, energico, come era intenso e prorompente il blues di Howlin Wolf; e l’unico modo per scoprire questi artisti era quello di pazientare con le piccole radio a transistor alla ricerca delle frequenze giuste della BBC o di Radio Luxembourg.
Questo fermento blues, già innato a Londra (il Chicago Blues non a caso ebbe più impatto in Gran Bretagna che nella natia America), deflagra e si presenta al pubblico giovanile grazie a due locali: il Marquee Club al n° 165 di Oxford Street (fino al marzo del 1964) ed il Crawdaddy Club di Giorgio Gomelsky. Nati come inizialmente come jazz-club diventeranno la palestra musicale per i giovanissimi Rolling Stones, Yardbirds e The Who. Anche se all’inizio non fu semplice, come ricorda Gomelsky quando ingaggiò fissi gli Stones al Crawdaddy: «All’inizio la maggioranza del pubblico era di ragazzi, fan di blues e collezionisti. Alcuni di loro erano musicisti in erba, come i futuri Yardbirds ed Eric Clapton, che si facevano vedere spesso con sottobraccio album difficili da reperire; così iniziammo a impiegarli come dj tra un set ed un altro».
Gli Stones iniziarono così ad esibirsi con cover blues tra cui Come on di Chuck Berry o come Not Fade Away di Buddy Holly («Buddy portava gli occhiali e sembrava un po’ un impiegato di banca … abbassò il livello, era come se dicesse “ehi, se dentro di voi avete qualche buona canzone, potete farcela!”» ricorda sempre Richards). In queste prime esibizioni gli Stones hanno modo di affinare una tecnica già ascoltata nei dischi di Jimmy Reed, ossia il guitar weaving. La tessitura consisteva nel fraseggio ripetuto tra le chitarre di Richards e Brian Jones, senza che mai ci fosse una netta distinzione tra parte ritmica e parte solista, in questo modo le chitarre creavano un sound più compatto ed omogeneo e la possibilità di improvvisare era maggiore.
Il 14 aprile del 1963, come ogni domenica sera al Crawdaddy si esibirono gli Stones, e tra il pubblico, accompagnati da Pat Andrews, la fidanzata di Brian Jones, ci sono i Beatles, che a Liverpool stanno già scrivendo la storia. È simbolicamente il primo incontro storico, e l’inizio di un antagonismo mediatico e non, che accompagnerà per sempre le due band. Ma soprattutto è l’inizio della London Swinging e di un panorama musicale e culturale che invaderà presto anche gli Stati Uniti ed il mercato mondiale. Il 5 dicembre 1964 con la cover Little Red Rooster di Howlin Wolf, gli Stones si prendono il n.1 nella classifica UK, e qualche mese dopo nel maggio 1965 lo incontrarono poi sul palco dello show televisivo Shiding; è lo storico passaggio di testimone, la giovane generazione inglese si prende il blues, lo porta in cima alle classifiche e lo trasforma in rock!
Il razzo è lanciato, e la band su suggerimento di Andrew Loog Oldham ex della scuderia di Brian Epstein, quindi sponda Beatles, inizieranno a scrivere di propria mano le canzoni e con The Last Time e (I Can’t Get no) Satisfaction verrà consolidata la loro fama anche al di fuori dei confini britannici. Quel ghigno onnipresente di Jagger quando cantava sul palco era nientemeno rivolto ai genitori della sua generazione: facendosi odiare da loro avrebbe avuto l’amore incondizionato dei giovani. Provocazioni a fini commerciali forse, di cui Oldham fu sommo maestro, come ad esempio lo slogan: “Would you let your daughter go with a Rolling Stone?” (“Lascereste andare vostra figlia con un Rolling Stone?”).
blues_clapton is godPersi gli Stones, al Crawdaddy iniziò ad esibirsi una giovane band proveniente dei ceti medi londinesi, gli Yardbirds. Per loro sarebbe stato impossibile suonare la musica nera ed imporsi nel circolo dei jazz-club della capitale, con quelle camicie ben abbottonate ed i capelli in ordine non erano credibili! Allora portarono in scena se stessi, il loro sound ruvido ed energico, sostanzialmente rhythm blues, e dopo la gavetta con Sonny Boy Williamson, raggiunsero il successo con For Your Love del febbraio 1965. L’accento blues era prerogativa di Eric Clapton, che nel giro di pochi mesi sarebbe diventato il miglior bluesman bianco che l’Inghilterra abbia mai partorito (e le scritte sui muri: “Clapton is God” tappezzavano tutta Londra). Tuttavia l’esperienza negli Yardbirds si esaurì una volta compreso che la direzione della band non era la sua. Clapton voleva immergersi ancora di più nel blues perché «al centro c’è sempre l’individuo, un uomo solo con la sua chitarra contro il mondo» e questa alienazione era esattamente quello lui stava provando, mentre il resto della banda, beh se ne stava semplicemente allontanando.

Londra non era solo Stones o Clapton. La Londra più di moda era rappresentata dagli The Who e dal loro stile mod. Quella che sarà ricordata come la miglior band dal vivo, annoverava tra le sue file un mix perfetto di energia e tecnica, uscendo dallo schema del rhythm blues ed virando decisamente verso quello che sarebbe diventato il rock. Le alchimie distorte di Pete Townsend, la furia ceca di Keith Moon che reinventa decisamente il ruolo del batterista, la tecnica impeccabile di John Entwistle e la presenza scenica virile di Roger Daltrey fanno degli The Who una band esplosiva. La gavetta avviene nell’altro storico locale di Londra, il Marquee che li ospita ogni martedì, e rende la band un’attrazione incredibile. Il feedback sprigionato da Townsend, la distruzione degli strumenti a fine show, le giacche con la Union Jack stampate sulla schiena di Daltrey o quelle pop-art col bersaglio di Keith Moon invidiate da tutte le ragazze, e soprattutto quella tensione generazionale senza precedenti sono gli ingredienti per una band che non aveva emuli nel panorama musicale londinese. «Un gruppo pop art con un souno pop-art» Andy Warhol li avrebbe voluti.
blues_the whoGli eccessi e le provocazioni e lo stile sono il loro marchio di fabbrica di canzoni come I Can’t Explain o My Generation. In quest’ultima gli The Who esplorano come nessuno prima di loro, il mondo giovanile, il mondo dei propri coetanei e sbriciolano sotto quel sound potente ogni tabù ed ogni segreto. L’alienazione è il seme perfetto, e versi come “I hope I die before I get old” fanno inorridire i benpensanti inglesi, così come essenziale è il balbettio di Daltrey nel cantato, a segnare la difficoltà di comunicazione e tutta la rabbia giovanile. Ben presto gli The Who diventeranno un icona dal vivo, specie nella stagione successiva dei grandi festival all’aperto, come Monterey (1967) o Woodstock (1969) o l’Isola di White (1970).
Se a Londra succedeva tutto questo anche a Liverpool e Newcastle la scena era in fermento. I Beatles sulle rive dei Mersey fanno storia a sé, mentre gli Animals di Eric Burdon ben presto vengono accolti da Giorgio Gomelsky e trasferiti a Londra. Partecipano al banchetto della British Invasion traendo un buon successo negli Stati Uniti, ove Burdon scoprirà e lancerà un certo Jimi Hendrix. Gli Animals si mantengono più fedeli al blues rispetto ai The Who, ne è la riprova House of the Rising Sun un classico della tradizione folk, suonato anche da Bob Dylan che proprio in quel periodo si apprestava a compiere la sua svolta elettrica. Tuttavia la difficoltà di proporsi con brani propri ed alcune tensioni interne, rendono la formazione degli Animals instabile e con repentini cambi perdono quello che è l’appeal commerciale. Ad ogni modo le loro versioni di classici blues come Don’t Let Me Be Misunderstood, o come Sweet Little Sixteen sono gli estremi tentativi di trattenere in vita il più possibile quella musica nera che fu d’ispirazione a tutta la generazione degli anni ’60.
Dopodiché l’esplosione dei long-playing e le monumentali opere rock dei primi anni ’70 seppellirono per sempre l’energia del singolo secco, della hit rock ‘n’ roll mordi e fuggi, per ricreare quello che divento un sound più maturo, coeso, compatto. Quello che accadde a Londra nel 1965 è stato qualcosa di unico, e come quel blues nero colmò e raccolse tutte le intime sofferenze dei giovani inglesi alle prese con un cambio inaspettato dei valori e delle proporzioni di una società che stava mutando per sempre; una vitalità che il blues mantenne indelebile come aveva fatto cinquant’anni prima tra le piantagioni di cotone in Louisiana. Talkin’ bout my Generation!

La Firma: Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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