L.A.M.F. – Johnny Thunders & The Heartbreakers

Anche Gus svolge le annuali pulizie di primavera. E’ da sempre l’occasione ghiotta in cui vengono fuori dei ricordi stratosferici, che una mente già troppo “lisergicamente sollecitata” come la mia non può ricordare. Un piccolo appunto datato 1986 è stato sufficiente: L.A.M.F. Revisited fa cagare!

Sentenza già pronunciata, passiamo ad altro. Se dici Like a Motherfucker, dici Johnny Thunders, alias il perdente, o meglio il “loser” per eccellenza. Un personaggio che mi sarebbe piaciuto incontrare ed intervistare durante i miei anni girovaghi in Europa, ma che si tenne sempre ai margini della lucidità mentale ed artistica, spontaneo, metropolitano, pazzo, ma sostanzialmente solo: Thunders era un artista geniale e tossicodipendente! Un rocker spudorato, come Keith Richards, senza l’alloro in testa dei grandi poeti o le bavose lodi che le riviste musicali dedicavano alla chitarra degli Stones.
Lasciò i Dolls in Florida per volare a New York e comprarsi la droga, formò con il fedele Jerry Nolan questi Heartbreakers di stampo rock ‘n’ roll, ma che furono immersi nella zuppa inglese punk, solo perché correva l’anno 1977. Thunders semmai era un nerd, non un punk!

L.A.M.F. - Johnny Thunders & the HeartbreakersL.A.M.F. quello originale della Track Record del 1977, (la sua embrionale prima edizione, che conservo gelosamente in vinile accanto alle annate migliori del Brunello) è un concentrato di rock ‘n’ roll puro, senza incidenti glam o make-up fatiscenti o vestiti da donna. Sottotitolo: la rivincita del rhythm & blues su questo neonato movimento punk; in pochi lo ammetteranno oggi, ma durante il tour inglese Heartbreakers-Sex Pistols, i giovani britannici andavano per vedere Johnny Thunders suonare, e non quei 4 teppistelli far solo casino!
Il volume staziona costantemente a livello max, quando passa Born too Loose, che definirei più incisivo di qualunque inno dylaniano folk, ove si celebra la condizione confusa di un artista in cerca della propria strada. La celebrazione del “perdente” non è negativa, il tutto è preso alla leggera, senza troppi patemi; il coro è da cantare a squarciagola e con il sorriso sulle labbra: siamo orgogliosi di essere losers! In antitesi con il perentorio e macabro “no-future” dei Pistols, anche se in quest’ultimo caso la provocazione è celata: Rotten non è uno stupido!

I ritmi sono veloci alla maniera di quel rock classico alla Berry, ballabili, disillusi, talvolta inconcludenti: «I don’t mind … » di Baby Talk non può altro che far scuotere il culo delle ragazzine in pista da ballo. All by myself è la mia preferita, in quanto sa prendersi sul serio senza troppi pensieri ed incarna perfettamente l’atmosfera newyorkese alla fine degli anni ’70.
Richard Hell, che per un brevissimo periodo entrò negli Heartbreakers credendo di fare la prima donna, disse che i testi di Johnny Thunders erano ridicoli e senza sensa, a discapito dell’ottimo rock ‘n’ roll suonato. Hell ebbe il tempo di firmare le due strofe di Chinese Rocks (attenti alla ‘s’) anche se il maggior contributo lo si deve a Dee Dee Ramone, un altro che la sapeva lunga! Thunders si prese la canzone e la indossò come un abito da donna ai tempi dei Dolls, dato sapeva bene di cosa parlava: oltre la canzone era la droga che legava questi 3 eccellenti personaggi, Thunders-Hell-DeeDee la nuova generazione (o forse l’evoluzione) di Reed-Pop-Bowie!

A ogni modo devo dare ragione a Hell, i testi sono molto sempliciotti, ma imbrattano molto chiaramente quello che era il carattere di Thunders: Pirate Love o I Love you sono poesia-spazzatura ma parlano d’amore come parlava d’amore l’esordio dei Dolls. Non mi stupisco più di tanto! È il modo di scrivere di Thunders diretto ed asciutto che si amalgama bene con il suo blues sghembo e monco, dalla buccia grossa e dal succo lievemente nostalgico. Mi piaceva Johnny Thunders, mi piaceva molto. Ci rimasi male, quando lessi della sua morte solitaria a New Orleans nel 1991, e dove altro poteva morire uno come lui, se non nella città del blues?!
Tornando al disco ora sono giunto a One Track Mind che è un’altra bella variante al tema principale del disco, e lo stesso vale per Goin’ Steady, inutile citarle tutte, sono belle in maniera uguale!

Perché Gus ce l’ha con il successivo mastering del 1984 della Jungle?
Perché fa schifo, che altro c’è da dire … lo trovate in quasi tutti i centri commerciali in formato vinile.
Se avete 20 euro da buttare fate pure; nel mentre io colgo l’occasione per ascoltarmi l’ottimo rock-blues dell’originale mentre apro una buona bottiglia di vino!
A buon intenditore …

recensito da Gus
Gus heartofglass

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