It’s all fun and games until someone loses an eye – Clov

Ci lega un affetto particolare a Clov (alias Piero Prudenzano), non solo per la casualità (o fatalità) che portò il suo This is not Woodstock (2009, leggi recensione) ad aprire la sezione “SoundRise” di questo sito dedicata alle band emergenti. Sono passati tanti anni e tante righe (o accordi) scritte una dopo l’altra; l’unica cosa che che sembra essere immutata dall’epoca, non è l’energia o l’entusiasmo (poiché anche quello si scolora con il tempo), ma bensì la cieca la passione per la musica. Tra le note di It’s all fun and games until someone loses an eye ritrovo con sorpresa ancora una volta la mitica etichetta digitale Hysm?, mentre tra i crediti compare anche il contributo di Steven Lipsticks di cui avevamo apprezzato tantissimo il suo omonimo disco (leggi recensione).
Lo-fi e homemade sono concetti primari per le produzioni di Clov, nel quale voce e chitarra vengono amalgamati tra feedback, sibili e rumori stridenti, confezionando un risultato che mima sempre ad un’armonia calda ed accogliete, ma con un lato oscuro piuttosto pronunciato. Il cantato sereno e concentrato di Clov aiuta la ritmica a limare le incursioni degli elementi di disturbo, enfatizzando una certa sensibilità che, come un animale selvatico, si fa appena intravedere senza troppa megalomania.
It's all fun and games until someone loses an eye - ClovLa discrezione sinistra Another useless story chiarisce questi chiaroscuri tra melodia e sperimentazione, nel quale un basso dalle movenze seventies detta il passo tra viscidi slide di chitarra e lame di coltello che sembrano tagliuzzare quello che rimane di una storia passata. Rintocchi acustici emergono cristallini in Dust, mentre granelli digitali pungolano i timpani senza tuttavia lasciare traccia fastidiosa; il cantato si snoda in un coro di rimando lontano e vagamente distorto, regalando ampiezza al brano che suona quasi orecchiabile nel chorus «It looks like dust, is falling on something». Parentesi esplicitamente contemplativa in The Killer in you, resa minimale fino all’osso, mentre in Platitude gli echi (vocali e feedback) si rincorrono in una preghiera celeste che celebra tutto quello che di minuscolo ed impercettibile accade intorno a noi «and this happening every five minutes of the day».
Un giro del mondo evocativo sembra calare su Travel, nel quale il gioco a dadi tra melodia e disturbi si consolida in maniera definitiva nelle trame di Clov, colorando fin qui di tanta empatia folk questo disco, poiché a discapito delle apparenze (o delle interferenze!) l’anima di It’s all fun and games until someone loses an eye è platonicamente folk nelle aspirazioni e nell’esecuzione. Impressioni confermate più limpidamente in Carnage of socks nel quale il livello di emotività tocca vette nuove, permettendosi synth barocchi a dipingere una confessione sulla bellezza lacerate e consumata dall’avidità di vivere e possedere «But tell me why I don’t understand do we let these women bleed us to death?». I ricordi e le piccole emozioni sembrano trainare la musica di Clov oltre i soliti dettami alternativi, il contatto con la realtà è cercato e voluto, legandosi spesso ai dettagli che sfuggono alla nostra vista, condensando di infiniti significati cose a cui istintivamente non diamo particolare importanza. Ecco che That summer it rained a lot mantiene le proprie influenze seventies, così come la placida Maybe I’m (arpeggio di sei corde ammaliante!) descrive l’interiorità con parole che sembrano esse stesse brevi e fugaci emozioni. La solennità appena intravista negli ultimi due brani, si manifesta con vigore in What’s up? grazie alle dinamiche di pianoforte (Vittoria Erario), portando la sperimentazione estrema a soccombere dinanzi ad tale armonia conquistata.
Wise man suicide chiude il disco concentrando tutti gli elementi cari a Clov, sonorità ludiche ed fanciullesche che accrescono quel legame con l’infanzia che è tanto sottile quanto imprescindibile; le meccaniche moderne trovano nuova spinta solo se ancorate alla tradizione anni ’60-’70 a cui Clov attinge con estrema naturalezza.

Così It’s all fun and games until someone loses an eye è un disco di una bellezza sottile ed attenta, poiché senza cavalcare l’onda della sperimentazione facile o di un lo-fi sgraziato e pasticciato, Clov allinea dettagli su dettagli creando un’armonia di fondo costante per tutte dieci le tracce. Chiamarla musica da cameretta è quantomeno ingiusto, tuttavia è la dimostrazione di come la vera anima alternativa non debba passare attraverso i soliti canali generazionali.

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recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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