I – Love After Death – Skull Cowboys

La parabola musicale del progetto Skull Cowboys racconta una storia molto interessante, che si lega indissolubilmente al cinema ed a un concetto non-convenzionale di soundtrack. Tutto inizia nel maggio 2010 per iniziativa del chitarrista Andrea Congia, con l’idea di mettere in musica le vicende narrate nelle vignette del fumetto The Crow di James O’Barr, che diventano la base drammatica per l’opera rock Fuoco e Fiamme promossa dall’associazione culturale Figli d’Arte Medas. Ad ogni modo dimenticatevi completamente della pellicola-cult con protagonista il compianto Brandon Lee (e dimenticatevi pure il pot-pourri musicale dark, capeggiato da Burn dei Cure); poiché nella trasposizione cinematografica sono stati rimossi e modificati alcuni elementi essenziali del fumetto, in primis proprio quello Skull Cowboy che rivelerà ad Eric la sua resurrezione e la lunga missione punitiva per vendicare la morte di Shelly.
Skull Cowboys - Love After DeathTerminata l’esperienza teatrale di Fuoco e Fiamme, gli Skull Cowboys hanno continuato ad operare nel campo delle colonne sonore, senza tuttavia mutare il loro endemico progressive-rock con evidenti sfumature hard e scariche di chitarre elettriche d’ispirazione metallara. Nel 2015, la band riprende in mano quanto fatto per la trasposizione di “The Crow”, riarrangia -senza stravolgere- i pezzi, in formato disco ed ecco che nasce I – Love After Death. Ciascun brano (titolato con il nome dell’antagonista che andrà a perire nella vendetta di Eric) rievoca la linearità delle vicende teatrali, tuttavia il vero filo conduttore riguarda il percorso di redenzione e purificazione del protagonista, che attraverso la vendetta cruenta dei suoi carnefici, alimenta -in altre forme- l’amore terreno avuto per la povera Shelly. A tratti epica, la soundtrack mantiene altissima la tensione emotiva, grazie a cavalcate melodiche stupende, ove le chitarre (oltre ad Andrea Congia, anche Mario Pierno) costruiscono strati sonori indipendenti, mentre l’evocazione delle tastiere (Fabio Desogus) e la perentorietà della sezione ritmica (Marco Loddo e Roberto Matzuzzi) ristagnano in una struttura solida ed incline ai cambi di tempo e di velocità.

Senza la tanto agognata carica gotica, i brani di Love After Death seguono un percorso indipendente, più mirato alle vicende del fumetto (e del protagonista nel rifuggire dalla morte), piuttosto che a ruffiane e facili parodie del film. L’eleganza decadente di Hellfire, e quell’inconfondibile tocco metallaro, scorrono lividi tra assolo ubriacanti ed il rombo di percussioni granitiche, così come la mescalinica Knives, ove le tastiere conducono a briciole di post-punk lasciato a imputridire tra litri e litri di distorsione. Se Mother-Drug condensa con la giusta ritmica una tensione da pelle d’oca, rallentando volumi ed diluendo le melodie; nella tribale ed irascibile Speedball gli ululati wah-wah di chitarra hanno la capacità di mescolarsi a lugubri riff ricchi di eco, portando l’ascoltatore a percepire il battito del cuore freddo di un vendicatore accecato più dall’amore che dall’odio. Così la morte viene vinta per un attimo, mentre scorre lenta e soffusa la lunga nenia cobalto di Skunk, che preannuncia un epilogo conciliante, verso una luce in fondo al tunnel che può rappresentare mille significati diversi. Chiude con un pathos iridescente Krokodil, caustica ed epica elegia di un protagonista svuotato dalla propria missione e pronto ad abbracciare finalmente un nuovo stadio della propria esistenza.

I – Love After Death è un lavoro curatissimo e di grande impatto emotivo, che fa venir voglia di riscoprire immediatamente le vignette originali di James O’Barr. Gli Skull Cowboys si dimostrano musicisti integerrimi e seri nel riprendere un lavoro dedicato al teatro e di ridisegnarlo con la stessa tensione in un formato audio davvero colmo di emozioni e sensazioni. E pare che all’orizzonte ci sia un II – Love After Death (vedi videoclip) …

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recensito da Poisonheart

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