White Shiver (ep)- White Shiver

Qualcosa fuori dall’ordinario. Almeno questo è il giudizio dopo qualche decina di secondi di Live Till I Get Some More, un brano dalle radici blues ma contaminato da influenze rock; ed il ricordo di Rockin’ in the Free World di Neil Young è più di un estemporanea analogia. I padrini di questo convincente sound sono i giovani genovesi White Shiver, che con coraggio propongono un brano che i loro coetanei mai e poi mai si sognerebbero di incidere. Colpito favorevolmente dalla personalità della band, dal cantato “vissuto” alla Lemmy dei Motörhead di Jeremy Sanna, alle scorribande sonore delle sei corde rispettivamente di Riccardo Sartirana e Francesco Lanzoni, proseguo nell’ascolto di questo ruvido omonino ep.

 

Il tema centrale non differisce molto dall’impressione iniziale, e Motherfuckers si allinea ad un hard-rock da bikers, con l’inconfondibile firma da band compassata divisa tra motel e whisky-bar. Eppure i White Shiver sono quanto di più lontano da questo costipato identikit. La loro musica riflette delle influenze abbastanza precise e non convenzionali; domina il rock on-the-road, quello che racconta le cose come stanno, senza riff o melodie sdolcinate e senza cercare il facile consenso. Fare dei nomi non è importante, basta tenere vigile l’ascolto; questi ragazzi la tradizione rock l’hanno imparata bene. Appunto personale: encomiabile considerare che nella generazione Mtv, c’è ancora qualcuno che pensa con la propria testa!

White Shiver (ep) si pone nelle vesti di ep di presentazione, con tutti i pro e i contro del caso. Variazioni di line-up e talvolta di stile fanno parte della logica degli esordi, eppure in questo frangente di può scorgere una maturità e un salto di qualità concreto. Brani consumati come giubbotti di pelle nera lisi, talvolta possono non venire pienamente apprezzati da un pubblico sempre meno esigente, più allineato a ciò che la moda dispensa.
Someone to Blame è il fiore all’occhiello del gruppo, che fiera della sua creazione rock prosegue con energia e convinzione in un rock che potrebbe benissimo appartenere al repertorio di una band degli anni settanta, tanto sono convincenti i giri di chitarra che esplodo in effetti wah-wah d’altri tempi. No Name invece approda ad un sound appena più recente, rimanendo, tuttavia, fedele allo stile seventies di chitarra e basso. La batteria promuove meno vigore di quanto ci si aspetti, ma la recente “assunzione” di Francesco Milanolo promette più rullate e più energia.
Il lato dolente può essere rappresentato da una scarsa ricerca innovativa a favore di un rock granitico ma trazionalista, ma trattandosi di un ep e di una band relativamente giovane è un peccattuccio di poco conto.

Complessivamente è un sollievo ascoltare qualcosa che con l’indie-rock da balera non c’entra assolutamente niente; e certamente le prossime metamorfosi dei White Shiver non giungeranno a compromessi forzati.
La perseveranza nel rock è una strada difficile, ma coerente e probabilmente un pochino romantica e nostalgica!

 White Shiver myspace

recensito da Poisonheart
 

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